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Mirafiori si salva solo se compete con il mondo

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2010 alle ore 09:27.

Si può immaginare Torino senza Mirafiori? L'interrogativo si riaffaccia periodicamente, ogni volta che subentrano dubbi sulle prospettive e la consistenza della produzione automobilistica in Italia. Così è avvenuto anche nell'ultima occasione, quando il 21 luglio Sergio Marchionne ha comunicato da Detroit che le nuove monovolume della Fiat non saranno più prodotte a Mirafiori, ma nello stabilimento che la casa torinese ha rilevato in Serbia e sta riorganizzando, col contributo della Banca europea degli investimenti e il sostegno del governo di Belgrado.


È bastato questo annuncio perché le domande sul destino di Mirafiori, che hanno accompagnato l'evoluzione delle vicende della Fiat nel corso degli ultimi dieci anni, si riproponessero, con tutto il contorno delle prese di posizione che la notizia ha inevitabilmente suscitato, in un crescendo di allarme. Poi, ieri pomeriggio il sindaco Sergio Chiamparino ha fornito al consiglio comunale della sua città l'«ampia rassicurazione» di Marchionne a discutere le modalità per non pregiudicare la continuità della lettera "t" dell'acronimo della più grande impresa industriale italiana.

Non è un caso che Chiamparino abbia voluto fare riferimento a quell'impegnativa sigla aziendale che, come amava ricordare l'Avvocato Agnelli, rimanda all'Italia e a Torino, congiungendole con la fabbrica e le automobili. Proprio per questo, in vita Agnelli non volle mai prendere in considerazione la possibilità di condurre la Fiat entro il perimetro di un'alleanza che potesse cancellare quel marchio denso di storia e di riferimenti.
Ma ora, da Detroit, la Fiat ha dato inizio a una nuova fase che la porterà prima al matrimonio con la Chrysler e in seguito, probabilmente, in una configurazione di gruppo ancora più vasta e complessa, in cui i confini del passato dovranno essere rimessi in discussione. Torino non potrà evidentemente essere l'unico centro del nuovo sistema aziendale che verrà a disegnarsi e, dunque, dovranno essere declinate in modo nuovo anche le appartenenze e i legami territoriali nel passato così importanti per la storia della Fiat. Il mercato globale dell'auto non si presidierà più da un solo quartier generale; ve ne saranno più di uno, allo stesso modo in cui verrà ridislocata la produzione industriale, con nuovi impianti che si aggiungeranno, o si sostituiranno, ai vecchi. Torino è la naturale candidata a detenere il presidio europeo del nuovo gruppo dell'auto al quale Marchionne punta fin dall'inizio della crisi. Ma oggi non può affidarsi al suo passato per trarne le garanzie per il futuro. La dinamica della crisi ha accelerato il cambiamento della geografia economica del mondo, rimettendo in questione tutte le gerarchie preesistenti. È avvenuto così in primo luogo in America, dove nell'autunno del 2008 è tramontata l'egemonia che l'industria di Detroit esercitava sul sistema mondiale dell'auto da un secolo, da quando Henry Ford aveva affermato con la sua "Model T" il primato della produzione di massa e le altre case ne avevano seguito la traccia.

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Tags Correlati: Avvocato Agnelli | Banca europea degli investimenti | Chrysler | Fiat | General Motors | Henry Ford | Mirafiori | Quartier Generale | Serbia | Sergio Chiamparino | Sergio Marchionne | Stati Uniti d'America | Torino | Trasporti e viabilità

 

Ora anche Torino deve reinventare la sua collocazione nel sistema dell'auto. La città non ha atteso la crisi per muoversi in questo senso; ha cominciato a farlo da oltre un decennio, dopo aver preso atto che non poteva più giocare tutte le sue risorse sulla sua indubbia capacità manifatturiera. Ha iniziato allora sia a condurre un processo di diversificazione economica, aprendosi ad altre attività, sia a irrobustire la gamma delle dotazioni e delle competenze che sorreggono il settore automobilistico. Lo ha fatto l'organizzazione universitaria, col Politecnico che ha creato il corso di Ingegneria dell'auto, attraendo investimenti in ricerca (Powertrain di General Motors). Ma lo hanno fatto anche gli enti territoriali (Comune, Provincia e Regione) che non si sono tirati indietro nel 2005, quando la Fiat attraversava il momento più acuto di difficoltà, e hanno rilevato una parte dell'area di Mirafiori, fattasi troppo estesa rispetto alla capacità produttiva effettivamente impiegata.

Nel medesimo tempo, è emerso il carattere articolato dell'automotive di Torino: la tradizione dei suoi carrozzieri si è evoluta nella qualità progettuale dei suoi stilisti, con due marchi di grande prestigio come Pininfarina e Giugiaro. Adesso si tratta di affrontare un passaggio ancora più cruciale, come segnala l'annuncio che Marchionne ha dato mercoledì. C'è una competizione internazionale che riguarda la dislocazione degli impianti produttivi anche all'interno dello stesso gruppo automobilistico. Mirafiori non può concorrere nell'immediato con le condizioni di vantaggio assicurate allo stabilimento di Kragujevac, in Serbia, dove sono alti gli incentivi statali, il costo del lavoro è basso e alla Fiat è stata garantita per anni l'esenzione dalle tasse. L'Italia odierna non offre nessuno di questi vantaggi di insediamento. Ciò che il sistema dell'auto di Torino può offrire, col contributo attivo di tutti i suoi attori (dagli enti territoriali alle associazioni di categoria, dai centri universitari di ricerca alle organizzazioni sindacali), è un contesto migliore, più integrato ed efficiente, per mantenere e attrarre tutte le funzioni che occorrono alle progettazione e alla produzione automobilistica. Può contare su un sostrato di competenze molto solido, su un'attività di ricerca che è di punta (non solo in Italia), sul valore dei suoi designers e anche su un'esperienza negoziale nel campo delle relazioni industriali che non è quella di Pomigliano d'Arco. Ma bisogna compiere uno sforzo comune per elevarne la qualità e la competitività. Solo così si potrà sperare di attrarre a Torino nuovi investimenti e magari di convincere Marchionne dell'opportunità di mantenervi i capisaldi della Fiat.
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