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Due genieri italiani uccisi a Herat

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:03.

Sono ancora i genieri a pagare un pesante tributo di sangue nel conflitto afghano. Ieri sera intono alle 20 ora locale Mauro Gigli, primo maresciallo, e Pierdavide De Cillis, caporalmaggiore, componenti di un team Iedd (Improvised Explosive Device Disposal) specializzato nella rimozione di ordigni esplosivi improvvisati, sono rimasti uccisi a otto chilometri da Herat, nel villaggio di Injil. Lievi escoriazione per il capitano Federica Luciani del 2° reggimento genio pontieri di Piacenza.


Il team di genieri era intervenuto su richiesta della polizia afghana che aveva segnalato la presenza di una bomba rudimentale. Dopo aver verificato la presenza dell'ordigno, i due militari lo hanno neutralizzato ma nel perlustrare la zona circostante sono stati investiti da una forte esplosione che ne ha provocato la morte. Secondo alcune fonti con gli italiani sarebbero morti anche due afghani, non è chiaro se civili o agenti di polizia ma per i nostri vertici militari ci sarebbe solo un ferito lieve, un civile afghano. Soprattutto, non è chiaro se l'esplosione del secondo ordigno sia stata comandata a distanza o sia stata accidentale. Anche se il portavoce del contingente italiano a Herat non si sbilancia precisando che «sono in corso i rilievi ed è presto per trarre conclusioni» sembra probabile che gli italiani siano caduti in una trappola esplosiva tesa dai talebani per colpire proprio i genieri.
Il primo ordigno, dicono fonti ben informate, sarebbe stato posto in evidenza lungo la strada perché venisse notato dai poliziotti afghani che in questi casi chiamano gli esperti italiani per colpire i quali era stata piazzata una seconda bomba, la cui esplosone è stata probabilmente comandata a distanza da qualcuno che teneva sotto controllo i movimenti dei militari. Una tattica non nuova già adottata in Afghanistan e in Iraq contro gli artificieri statunitensi. Gli specialisti dei reparti Iedd sono un obiettivo prioritario per i talebani, così come gli insorti esperti nel confezionare e posizionare bombe improvvisate sono braccati dalle forze speciali. Una battaglia spietata, combattuta senza esclusione di colpi che in pochi mesi ha ucciso quattro genieri.

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Tags Correlati: Federica Luciani | Giorgio Napolitano | Herat | Iedd | Ignazio La Russa | Mauro Gigli | Pierdavide De Cillis | Silvio Berlusconi

 


L'attacco di ieri sera porta a 29 i caduti italiani in Afghanistan dall'inizio dell'operazione nel 2002. Di questi 19 sono stati uccisi dalle armi talebane e 7 sono morti dall'inizio dell'anno, il più difficile per le forze alleate che registrano già il record di caduti con oltre 400 soldati uccisi.
La provincia di Herat affidata alle truppe italiane sarà una delle prime a passare dal controllo dei militari alleati a quello delle forze di sicurezza afghane. A Herat arrivano in questi giorni i rinforzi alpini ma il surge italiano sembra dimezzato rispetto ai mille militari annunciati. Con il rinnovo della missione il Parlamento ha infatti innalzato il tetto di presenza media annuale da 3.300 a 3.790 mentre indiscrezioni riferiscono le forti difficoltà dell'Esercito a sostenere per lungo tempo l'incremento dei battaglioni. Esprimendo il cordoglio per i caduti il ministro della Difesa, Ignazio La Russa (che oggi riferirà sull'attacco in Parlamento), ha confermato che «la missione non cambia» ma ha ribadito l'obiettivo che «la lotta contro il terrorismo possa essere combattuta a partire dal 2013 dalle forze afghane in modo che i nostri possano tornare a casa».


Il premier Silvio Berlusconi si è detto molto rattristato e ha aggiunto che «tutte le volte che succedono queste cose ci si domanda se ne valeva la pena. Dobbiamo rafforzarci nell'idea che ne valga la pena». Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con commozione la notizia del grave attentato, ha espresso, in un comunicato, i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari dei caduti.

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