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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 16:53.

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«Dal rappresentante del governo aspettiamo risposte sul segreto di stato e sulla questione dei risarcimenti». Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime, non sa ancora chi da Roma sarà inviato a Bologna per commemorare le vittime della strage del 2 agosto 1980. Tren'tanni fa. Quella mattina, alla stazione ferroviaria, una bomba esplode nella sala d'aspetto di seconda classe. È un sabato di esodo estivo, la sala è gremita di persone in partenza per le vacanze. Ne muoiono 85; altre 200 rimangono ferite.

Bologna oggi è il banco di prova della legge di riforma del 2007, che limitava il segreto di Stato proprio a 30 anni e che si scontra con l'ipotesi di allungamento della secretazione degli atti avanzata al Copasir dalla commissione presieduta da Fabio Granata, istituita dal governo Berlusconi proprio per studiare le procedure d'accesso alla documentazione per la quale è decaduto il segreto di stato. Da qui l'appello di Paolo Bolognesi a non dar corso a questa proposta e, sul fronte risarcimenti, a risolvere ritardi e problematiche posti dalla legge 206/2004 a tutela dei familiari delle vittime di terrorismo. Inviti, questi, lanciati nel corso della presentazione alla stampa del calendario delle manifestazioni per celebrare il trentennale della strage che contiene una novità: il rappresentante del governo parlerà nella sala del consiglio comunale e non più dal palco di piazza Medaglie d'oro, adiacente alla stazione.

Un modo, forse, per evitare le bordate di fischi che, puntali, sommergono i rappresentanti del governo durante il loro discorso ufficiale. «La mia intenzione era semplicemente quella di dare la possibilità di un momento di raccoglimento più intimo fra il rappresentante dello stato e i familiari delle vittime di una tragedia dalla quale sono passati 30 anni, ma da cui sembra ci separi solo un fiat», spiega il commissario straordinario di Bologna, Anna Maria Cancellieri. «Quando successe – ricorda ancora Cancellieri – io lavoravo in prefettura a Milano. Appresi della notizia a casa, visto che era sabato, e corsi subito in prefettura. Avevo paura per il paese».

La presentazione delle manifestazioni per celebrare l'anniversario diventa anche l'occasione per fare il punto sull'inchiesta bis della procura di Bologna, avviata a fine 2005, dopo gli spunti emersi dalla relazione della commissione Mitrokhin. Al centro degli accertamenti della struttura del procuratore capo Roberto Alfonso (il quale ha dichiarato di voler andare avanti nelle indagini «fino all'ultimo lembo di verità» e «lontano dal tritacarne mediatico») c'è la pista palestinese che riconduce al terrorista internazionale Carlos "lo sciacallo" - dell'Fplp, l'ala estremista e marxista del movimento palestinese – e a Thomas Kram delle "Revolutionäre Zellen" tedesche, esperto di esplosivi a lui legato (che quella notte pernottò a Bologna all'hotel Centrale).

«E' solo una perdita di tempo», dice, come fa ormai da anni, il presidente dei familiari delle vittime. «Dovrebbero guardare invece al processo che si sta tenendo a Brescia», sulla strage di piazza della loggia, chiosa Bolognesi. Per ora, l'unica verità giudiziaria – che individua i colpevoli, ma non i mandanti – è stata scritta con le condanne definitive all'ergastolo come esecutori materiali dei terroristi neri Valerio Fioravanti e Francesca Mambro che hanno sempre negato ogni responsabilità per la strage, e dell'ex Nar Luigi Ciavardini (all'epoca dei fatti 17enne), per la discussa testimonianza di un delinquente comune. Altri personaggi dell'area eversiva sono entrati e usciti di scena (come Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco, alla fine assolti). Gli atti giudiziari hanno individuato anche le responsabilità di faccendieri e di esponenti di servizi deviati dello stato per aver depistato negli anni le indagini. Confermate, nel ‘95, le condanne per Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte.

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