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Verdini: Fini doveva tutelarmi

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2010 alle ore 08:02.


ROMA
Quando Denis Verdini arriva al quartiere generale del Pdl dove ha convocato una conferenza stampa, la temperatura, per via del caldo romano, è già alta. Le scintille, però, arriveranno di lì a poco perché il coordinatore ne avrà per tutti. A partire da Gianfranco Fini. «Mi è parso sgarbato e sconveniente, poteva evitare di parlare di dimissioni mentre era in corso il mio interrogatorio. Lui non mi ha tutelato».
Lo evocherà più volte durante la sua arringa. L'esordio, però, lo riserva alla P3. «Di questa associazione segreta - attacca Verdini - non so nulla, né sono mai stato invitato a partecipare. Non ne conosco attività e finalità». La P3 è inesistente, dunque, «ma pericolosissima per la democrazia, per quello che il paese ha già visto con la P2».
Poi torna sul quel pranzo con la "cricca" di Flavio Carboni per ribadire quanto detto ai pm. «L'incontro si svolse per valutare la candidatura del giudice Arcibaldo Miller, arrivarono più d'uno, non attesi. Si parlò anche del Lodo Alfano». Ma mai più si riparlò di lodo, dirà poco dopo. Quanto ai partecipanti Verdini è netto. «Non conoscevo Antonio Martone, Pasquale Lombardi e Miller che dovevo vedere con Flavio Carboni, Marcello Dell'Utri, Giacomo Caliendo e Arcangelo Martino». Giura di non aver rivisto Miller e Martone dopo allora, ma ammette di aver incontrato ancora Martino e Lombardi per la candidatura di Gianni Lettieri. In sala ad ascoltarlo ci sono Daniela Santanchè, che lo ha accompagnato dal Cavaliere prima della conferenza stampa, Maurizio Lupi e Giuseppe Scopelliti. Ma soprattutto il vulcanico Giorgio Stracquadanio protagonista, insieme a Giuliano Ferrara, di un piccolo un teatrino con una cronista dell'Unità, che incalza Verdini sui 16 assegni circolari intestati a Giuseppe Tomassetti, autista e factotum della consorte di Carboni. «Soldi versati al Giornale di Toscana», replica.
Alla testata di cui «è anima», Verdini dedica un lungo capitolo. Per ribadire che non ha intascato alcunché e «anzi i soldi ce li ho messi (4,2 milioni di euro)». Quanto all'intervento di Carboni, il coordinatore è fermo. «Ho procurato un'operazione di aumento di capitale per 2,6 milioni di euro di cui sono stati versati solo 800mila euro: regolarmente con due assegni circolari su contratto e su una perizia riconducibili a Carboni». Il cui nome Verdini tira in ballo anche dopo per dire che lo ha conosciuto per la prima volta nel maggio 2009 («ma con lui non ho mai fatto affari») e quando ammette di averlo messo in contatto «in modo trasparente» con il governatore sardo Ugo Cappellacci sulla vicenda dell'eolico.

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Tags Correlati: Antonio Martone | Daniela Santanchè | Denis Verdini | Flavio Carboni | Gianni Lettieri | Giuliano Ferrara | Giuseppe Tomassetti | Lodo Alfano | Loggia P2 | PDL | Società dell'informazione | Stefano Caldoro

 

Qui il coordinatore apre una parentesi per chiarire il suo rapporto con Marcello Dell'Utri. «Non l'ho scaricato, è un amico fraterno e una persona perbene». Quindi vira sul Stefano Caldoro. «Nessun dossier sul suo conto, ma solo un foglio dattiloscritto che ho cestinato dopo aver parlato con Cosentino». Poi, quando il foglio ricomparve, «io e Berlusconi convocammo Caldoro e lui giurò sul suo onore che non era vero nulla».
Verdini assicura anche che la sua banca «è solida, il commissariamento è un atto dovuto». E replica prontamente a Italo Bocchino, «da cui non accetto lezioni di legalità», che gli chiede un passo indietro. «Non è più in grado di fare il coordinatore». Lui però non vuole gettare la spugna. Scherza perfino sulle tre procure che lo indagano «sono le 3 P» e ai finiani non le manda a dire. «Serve un chiarimento, ma se qualcuno non si trova bene nel partito, l'allontanamento sarà una sua decisione».
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