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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 08:03.
Il conflitto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini è destinato a ridefinire il profilo del Pdl sia sul piano organizzativo che sul piano politico. Nei partiti i cambiamenti organizzativi – ma anche le semplici richieste di cambiamenti – riflettono quasi sempre (richieste di) nuove strategie politiche. Anche in questo caso l'offensiva tambureggiante del co-fondatore del Popolo della libertà per un diverso assetto interno non si limitava a qualche modifica statutaria ma investiva l'identità stessa del partito.
Chiedere più democrazia interna e ruoli realmente paritari in un partito a configurazione simil-carismatica qual è il Pdl comporta un cambiamento di natura, un salto di specie. Significa azzerare il capitale simbolico costruito in un quindicennio da Silvio Berlusconi sulla sua figura di leader in grado di risolvere ogni problema e di superare ogni ostacolo, ribaltando previsioni e certezze acquisite. Tutta la storia del centro-destra post-Tangentopoli narra delle sue gesta, mentre gli altri, da Fini a Bossi (e a Casini, all'epoca), sono relegati al ruolo di comprimari: essenziali per governare, ma sideralmente lontani in voti e in risorse.
Date queste premesse, era evidente che la fusione di An e Forza Italia avrebbe lasciato a Fini solo un ruolo di co-partnership formale. Semmai il leader di An poteva contare su un progetto di medio periodo, e cioè conquistare il nuovo partito dal basso, utilizzando le risorse militanti che aveva portato in dote al Pdl, le uniche in cui potesse vantare un reale vantaggio su Forza Italia. Ma questo progetto presupponeva una vita di partito "normale", tradizionale, fatta di processi di selezione della classe politica pidiellina dal basso, attraverso celebrazioni di congressi ed elezioni degli organi.
In An, proprio perché è sempre stato un partito diviso in correnti (così come lo era, e ferocemente, l'antesignano Msi), una prassi del genere era moneta corrente, anche se una certa propensione al "cesarismo" era affiorata fin dal 1994. In Forza Italia, invece, la fluidità delle regole interne e il potere carismatico del fondatore hanno lasciato poco spazio a queste prassi, spesso liquidate come un residuo dei "vecchi" partiti. Ammettendo che il progetto di Fini al momento della fusione in Pdl fosse quello della conquista del basso, esso avrebbe però dovuto superare due ostacoli, organizzativi e politici: sul primo versante, la scarsa predisposizione alla "vita normale" di partito non solo da parte degli ex forzisti ma anche dei suoi, data la centralizzazione e verticalizzazione del potere interno nella stessa An; sul secondo, l'opacità di uno specifico politico-culturale di An. Questo secondo aspetto costituisce tuttora un'area grigia nell'interpretazione della crisi del Pdl.