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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2010 alle ore 08:02.
Rottura totale. Dopo ore di limature e riscritture il documento dell'ufficio di presidenza del Pdl, nel quale vengono deferiti ai probiviri i tre deputati finiani Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, sancisce un vero e proprio atto di sfiducia del Pdl nei confronti di Gianfranco Fini. E subito dopo l'approvazione del documento, è lo stesso Silvio Berlusconi a spiegare in prima persona il gesto dirompente: «Viene meno la fiducia nel ruolo di garanzia del presidente della Camera», ha detto il premier secondo cui Fini ha assunto «un ruolo politico», facendo «una vera e propria opposizione in sintonia con la sinistra e con una struttura organizzativa sul territorio (Generazione Italia, ndr)». Per Berlusconi rinunciare allo strappo e andare avanti avrebbe significato far pagare al Pdl «un prezzo troppo alto».
Il Cavaliere si mostra sicuro. Nonostante i numeri in possesso di Fini alla Camera (34 deputati) mettano in discussione la tenuta della maggioranza, continua a ripetere che «il governo è saldo» e la maggioranza non è a rischio. Quanto alla "sfiducia" al presidente della Camera, Berlusconi lascia l'iniziativa ai parlamentari.
Di qui la decisione nonostante l'ultima mediazione tentata dall'ex finiana Giorgia Meloni. Il ministro della gioventù ha sostenuto la mozione presentata dai tre finiani presenti (Urso, Ronchi, Viespoli) per un rinvio del voto di ventiquattr'ore e contro cui ha parlato un altro ex An, il ministro Altero Matteoli. Il documento è stato così approvato con 33 voti favorevoli e i tre finiani contrari. «Abbiamo tutti ritenuto che il Pdl non potesse pagare il prezzo troppo alto di mostrarsi un partito diviso», ha detto il Cavaliere nel corso di una conferenza stampa improvvisata a Palazzo Grazioli. «Abbiamo provato in tutti i modi a ricucire con Fini, ma non è stato possibile. Non sono più disposto – ha aggiunto – ad accettare il dissenso, un vero partito nel partito».
Nel documento si sottolinea che «l'unico breve periodo in cui Fini ha rivendicato nei fatti un ruolo super partes è stato durante la campagna elettorale per le regionali al fine di giustificare l'assenza di un suo sostegno ai candidati del Pdl». Insomma, «le posizioni di Fini si sono manifestate non come un legittimo dissenso, bensì come uno stillicidio di distinguo o contrarietà nei confronti del programma di governo come una critica demolitoria alle decisioni prese dal partito».