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Il sindacato Usa ha già vinto la scommessa

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2010 alle ore 08:04.

DETROIT - «Le garanzie che gli stabilimenti possano funzionare» il gran capo di Chrysler le ha ricevute dal governo e dai sindacati. Non c'è stato nemmeno bisogno di porre un ultimatum, di chiedere "sì" o un "no". I libri erano già in tribunale, la liquidazione a un passo, decine di migliaia di persone stavano per perdere il lavoro.

Poco più di un anno fa gli interlocutori di Sergio Marchionne non stavano a Roma e a Torino, ma a Washington e a Detroit. Non erano Maurizio Sacconi, Roberto Cota e Cgil, Cisl e Uil, ma Barack Obama, la sua task force sull'industria automobilistica e l'United Auto Workers. Tutti assieme hanno deciso di salvare la più piccola delle big three, una delle tre grandi aziende automobilistiche americane, con un piano d'azione firmato poco più di un anno fa. Il governo federale ha fornito prestiti e aiuti finanziari per evitare la liquidazione, la Fiat ha messo competenze e tecnologia in cambio del 20 per cento e della gestione della società, i sindacati hanno fatto concessioni in cambio di una quota maggioritaria del 55 per cento.

Poco più di un anno dopo, Marchionne sta per annunciare il secondo utile operativo consecutivo e Chrysler inizia a ripagare il debito. La fabbrica di Jefferson North ha appena aggiunto un turno estivo, i posti di lavoro sono aumentati di mille e cento unità. Si parla apertamente, per il prossimo anno, dello sbarco in borsa della nuova Chrysler. Marchionne incassa il risultato, i sindacati capiscono di aver fatto la scelta giusta, Obama si prende gli applausi per l'operazione riuscita.

La chiave di volta di questi primi «segnali di successo», come li chiama la Casa Bianca, è stata proprio l'adesione del sindacato al progetto ideato da Marchionne e sponsorizzato da Obama. L'Uaw ha accettato tagli consistenti all'assistenza sanitaria dei suoi pensionati, ha ingoiato una maggiore flessibilità in fabbrica e ha lasciato a Marchionne la possibilità di assumere i nuovi operai con un contratto di seconda fascia, a 14 dollari l'ora. Una cifra che è più o meno la metà di quanto guadagnano i vecchi assunti Chrysler, ma che è in linea con i salari nelle fabbriche desindacalizzate delle auto giapponesi e coreane installate con successo nel sud degli Stati Uniti. Il referendum tra i lavoratori Chrysler è stato plebiscitario: solo il 20 per cento ha detto di no all'accordo.

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Tags Correlati: Barack Obama | Bob King | CGIL | Chrysler | Cisl | Clark University | Fiat | Ford | Gary Chaison | Honda | Imprese | Maurizio Sacconi | Michigan | Roberto Cota | Sergio Marchionne | Stati Uniti d'America | Uil

 

L'uomo che ha guidato il sindacato in questo delicato momento si chiama Ron Gettelfinger. A giugno ha lasciato l'incarico dopo due mandati. Il nuovo presidente, eletto con il 97 per cento dei voti a fine giugno al congresso di Detroit, è un elettricista cattolico di 63 anni: Bob King. Laureato in legge all'Università del Michigan e reduce della guerra in Corea, King è diventato leader sindacale da precario. Per molti anni ha guidato i lavoratori della Ford e in quella posizione si è costruito una fama di militante, di grande organizzatore, di agitatore politico.

Nel suo programma non c'è il rollback. Chi lo ha eletto non si aspetta che ottenga dalle aziende ciò che il sindacato ha concesso per salvarle. Al massimo si aspetta che si batta per la fine del congelamento degli scatti salariali, dei bonus e delle ferie deciso nel 2009.

King è un sindacalista moderno, dicono i giornali di Detroit. Sa bene che il suo compito è di mantenere la produzione negli Stati Uniti e allo stesso tempo di difendere salari e standard di vita degli operai. Sarà difficile conciliare le due cose, ma come ha detto al Detroit Free Press Gary Chaison, professore di diritto del lavoro alla Clark University, il nuovo presidente del sindacato sa che le compagnie automobilistiche non sono ancora fuori dal guado.

«Fratelli e sorelle – ha detto King concludendo il discorso di investitura a presidente – siamo pronti alla sfida per la giustizia sociale ed economica per tutti lavoratori?».
In questa frase c'è tutto il suo programma: sindacalizzare le fabbriche Toyota, Nissan, Honda e Hyunday, lottare per i diritti dei lavoratori che oggi non godono di alcuna tutela sindacale, ampliare la sfera degli iscritti. La Uaw non è più quella della fine degli anni Settanta. Allora contava un milione e mezzo di iscritti. L'anno scorso sono scesi a 355mila. «È una battaglia, spirituale, giusta», ha detto King a proposito dei diritti da garantire ai lavoratori delle fabbriche non sindacalizzate. Marchionne può stare tranquillo. Le garanzie ci sono. Fino al 2015, niente scioperi alla Chrysler.

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