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«Padroni in casa propria» e l'eterna semplificazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2010 alle ore 08:06.


L'eterno ritorno della semplificazione. Molto prima della Scia, molto prima dello slogan «padroni in casa propria», il processo di snellimento delle procedure per l'edilizia privata è partito nel lontano 1978. Tra annunci, insuccessi e promesse mantenute, si è continuato con un progressivo allargamento delle attività che si possono fare liberamente o con semplice comunicazione di inizio attività.
Quali i risultati complessivi? Ottimi per le attività su edifici esistenti, dalle semplici tinteggiature allo spostamento di pareti. Molto più controversi per gli interventi di maggiore entità.
Con la legge 457/1978 compare l'autorizzazione edilizia. Era uno strumento utilizzabile per la sola manutenzione straordinaria che non obbligasse a uscire da casa: bastava presentare l'istanza al sindaco, e dopo 90 giorni scattava il silenzio-assenso e si poteva cominciare. La legge Nicolazzi 94/1982 ha poi esteso questo meccanismo a tutta la manutenzione straordinaria e anche al restauro e risanamento conservativo. Tutto questo regime è stato però abrogato nel 1993 (governo Ciampi), con il Dl 389.
Tre anni dopo, un'altra svolta, con la legge 662/1996 (governo Prodi), che ha introdotto la Dia, la denuncia di inizio attività. È il regime recepito nel testo unico dell'edilizia: il proprietario di casa presenta il progetto al comune, con asseverazione del tecnico abilitato, e dopo 30 giorni può cominciare i lavori.
All'inizio consentiva di effettuare la manutenzione straordinaria, il restauro e risanamento, e le opere interne senza modifiche di sagome e prospetti, fermo restando che la manutenzione ordinaria era attività libera. Poi, con il testo unico (Dpr 380/2001, governo Amato), la Dia si è allargata alla ristrutturazione edilizia "leggera", quella cioè che non comporta aumenti di volume, unità, superfici.
Nel frattempo, però, sulla scena sono entrati altri attori protagonisti: le regioni. Due di queste, la Toscana e la Lombardia, approvano nel 1999 due leggi che lanciano la super-Dia, cioè la possibilità di fare la denuncia certificata (in alternativa al permesso di costruire) anche sugli interventi "maxi": ristrutturazioni pesanti, ampliamenti, nuove costruzioni.

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Tags Correlati: Italia | Urbanistica ed edilizia

 

La legge 443/2001 (governo Berlusconi) allarga la super-Dia a tutta Italia, con lo slogan «padroni in casa propria». Questa riforma, sulla carta radicale, fatica però a funzionare, anche nelle due regioni che avevano fatto da apripista. Perché? I professionisti spesso si tirano indietro e non firmano, un po' per prudenza un po' per la carenza di mappe chiare su vincoli, regole e piani. E le stesse imprese di costruzione preferiscono magari aspettare un po' di più, ma poi avere un provvedimento certo, la licenza edilizia. «Nessuna banca - raccontano all'Ance - ti concede un finanziamento sulla base di una semplice Dia».
Il problema è che i tempi del permesso di costruire sono lunghi, 60 giorni che salgono a 120 per progetti complessi e comuni sopra i 100mila abitanti, termini che tra interruzioni, integrazioni e ritardi si protraggono di norma per mesi e mesi. La vera sfida sarebbe dare certezza a questi tempi, senza però rinunciare al controllo sul rispetto di regole e piani. Come dire: semplificare le norme sostanziali e velocizzare l'attività degli uffici, oltre alle procedure. Ma questa, finora, è sempre rimasta una chimera.
Gli ultimi due interventi sono cronaca. Il Dl 40/2010 allarga l'attività libera anche alla manutenzione straordinaria, purché non si tocchino le parti strutturali e previa presentazione di una relazione tecnica asseverata. E poi arriva la Scia, ancora tutta da decifrare nei suoi effetti. Fino alla prossima semplificazione.
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