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Attacco fallito ad Ahmadinejad

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2010 alle ore 08:00.


Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, è scampato ieri mattina a un attentato mentre si stava recando in macchina dall'aeroporto allo stadio della città occidentale di Hamadan, dove doveva tenere un comizio. Ahmadinejad è rimasto illeso mentre altre persone, probabilmente dello staff, sono rimaste ferite dal lancio di una granata artigianale. Una persona è stata arrestata.
Queste le frammentarie informazioni che sono arrivate in Occidente grazie al sito web conservatore khabaronline.ir, vicino al presidente del Parlamento Ali Larijani, sito che per primo ha diffuso la notizia, poi ripresa dall'agenzia filogovernativa Fars e dalla tv Al-Arabiya. Notizie che avevano indotto ieri mattina il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, a parlare di «atto gravissimo che non aiuta la serenità del grande Medio Oriente». Successivamente tutti gli organi di informazione ufficiali della repubblica islamica hanno fatto a gara nel cercare di minimizzare l'accaduto parlando di un «petardo».
La televisione di stato di Teheran e Press Tv, in lingua inglese, hanno smentito che si trattasse di un attentato ma è apparso subito chiaro che l'attacco c'è stato e che ha provocato feriti e che c'è stato un arresto. In ogni caso, il presidente ha tenuto il discorso come previsto, trasmesso in diretta dalla tv. La vicenda è sintomatica di un aumento della tensione interna.
Chi può essere il mandante? La lista è lunga e i nemici non mancano. Baqer Moin, esperto di Iran basato a Londra, ha detto che Hamadan, di cui fra l'altro era originario il filosofo e medico persiano Avicenna, è un'area senza tensioni etniche. Quindi è possibile un attentato per rivendicazioni politiche dopo la feroce repressione dei riformatori che contestano il risultato del voto del 12 gugno 2009.
Naturalmente ci sono anche i separatisti. In effetti sono molti i gruppi armati che si oppongono al potere centrale di Teheran: ci sono i curdi nel nord-ovest, i baluci nel sud-est e gli arabi nel sud-ovest. Senza dimenticare i ribelli sunniti Jundullah (soldati di Dio), che hanno rivendicato l'attacco del 15 luglio scorso che provocò 27 morti tra i pasdaran. Ma la pista etnica non è la più verosimile. Anche i Mujaheddin Khalq, o del popolo (gruppo che in passato fece due attentati terroristici contro la repubblica islamica nel 1981 che portarono alla morte del presidente e del primo ministro di allora) hanno escluso qualsiasi coinvolgimento. In effetti i Mujaheddin oggi non hanno una reale capacità operativa in Iran e appaiono marginalizzati.

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Un attacco esterno, allora? Solo due giorni fa il presidente aveva parlato pubblicamente di un presunto piano israeliano per assassinarlo. «Gli stupidi sionisti - aveva detto - hanno ingaggiato dei mercenari per assassinarmi». E martedì, alla richiesta di spiegazioni, il portavoce del ministero degli Esteri, Ramin Mehman-Parast, ha affermato che «i sionisti» intendono uccidere «diverse personalità del mondo islamico, e uno dei più grandi nemici del regime sionista è Ahmadinejad».
Un'ipotesi improbabile, anche se negli ultimi mesi la pressione della comunità internazionale si è accentuata nel tentativo di fermare il programma nucleare iraniano. Alle sanzioni dell'Onu, approvate dal Consiglio di sicurezza il 9 giugno, si sono aggiunte quelle più pesanti degli Usa e della Ue, che colpiscono in particolare gli investimenti di società occidentali nel settore strategico del petrolio e del gas. Teheran ha bisogno di 25 miliardi di dollari per mantenere intatta l'attuale capacità di estrazione, senza contare che deve importare il 40% della benzina raffinata. La crisi economica si fa sentire. Inoltre a settembre Ahmadinejad taglierà 20 miliardi di dollari di sussidi per alimenti e benzina calmierati (sui 100 miliardi annuali che lo stato iraniano fornisce ai suoi cittadini). Una mossa che potrebbe innescare proteste, come accadde nel 2007 quando venne ridotta la quota di benzina a prezzo politico.
A questo si aggiungono le voci che si inseguono da settimane su un possibile attacco militare, israeliano o americano. Recentemente il capo degli stati maggiori congiunti degli Usa, ammiraglio Mike Mullen, ha detto che Washington ha messo a punto un piano strategico per un eventuale attacco all'Iran, anche se ha giudicato una decisione di questo genere «probabilmente una cattiva idea». Notizie che non contribuiscono ad allentare la tensione nel paese. Senza contare che l'ayatollah Sistani ha aperto una disputa contro la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, affermando che il velayat faghih, cioè il cardine della teocrazia iraniana non ha origini divine ma si può usare solo con la maggioranza della volontà del popolo. Un colpo duro ad Ahmadinejad e ai pasdaran che darà nuovo vigore ai capi dell'opposizione, Mir-Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi.
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ATTIMI DI PANICO
Versioni contrastanti Le guardie del corpo reagiscono proteggendo il presidente iraniano Ahmadinehad (al centro), immediatamente dopo l'esplosione che ha investito il convoglio presidenziale ad Hamadan, 350 chilometri a sudovest di Teheran (sullo sfondo si vede anche del fumo). La ricostruzione dell'episodio è confusa: il regime dapprima ha smentito la notizia di una granata artigianale scagliata contro il presidente e di un arresto (fornita anche dall'agenzia filogovernativa Fars), altre fonti parlavano anche di feriti; poi - tramite l'agenzia ufficiale Irna - ha fatto sapere che l'esplosione è stata provocata da «un ragazzo che ha lanciato un petardo» per «celebrare l'arrivo del presidente» e ha accusato i media stranieri di avere «pescato nel torbido»
LE PISTE

L'attentato
Il presidente iraniano Ahmadinejad era giunto ieri nella città di Hamedan, 350 chilometri a ovest di Teheran, per una visita di due giorni. L'attentato sarebbe avvenuto sulla strada dall'aeroporto allo stadio Qods, dove poi Ahmadinejad ha tenuto un discorso trasmesso in diretta dalla televisione
Nella provincia di Hamedan non ci sono particolari tensioni di natura etnica o religiosa, come invece nelle province del sud-est, del nord-ovest e del sud-ovest del paese, popolate da forti minoranze sunnite
I gruppi di opposizione
Jundullah: gruppo ribelle sunnita fondato nel 2002, nel 2005 ha lanciato una campagna armata a difesa della minoranza sunnita del paese. Secondo le autorità iraniane il gruppo, particolarmente attivo nella provincia sudorientale del Sistan-Baluchistan, è legato ad al-Qaeda
Mujaheddin del popolo
Sono il gruppo principale del Consiglio nazionale di resistenza, la coalizione di opposizione in esilio. Inizialmente sono stati inseriti dagli Usa nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere; in luglio, dopo che il gruppo ha sospeso la campagna contro il governo iraniano, una corte d'appello americana ha chiesto al Dipartimento di stato di rivedere il giudizio Partito per la libertà del Kurdistan, ramo del Pkk turco: chiede autonomia per le aree curde ed è visto dall'Iran come un'organizzazione terroristica

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