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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2010 alle ore 16:23.
Mercoledì Barack Obama ha ricevuto nella Roosevelt Room della Casa Bianca un piccolo gruppo di editorialisti e giornalisti esperti di politica estera. In venti minuti, il presidente americano ha fatto il punto dei rapporti tra la comunità internazionale, guidata dagli Stati Uniti, e l'Iran degli ayatollah. Obama spera ancora in una soluzione diplomatica che impedisca al regime islamista di dotarsi di armi nucleari, ma non ha annunciato nuove iniziative in tal senso.
I tentativi ci saranno, così come le pressioni e i toni roboanti (ieri il Dipartimento di Stato ha definito l'Iran «il paese più attivo nel sostegno al terrorismo»). Ma in questo momento la Casa Bianca vuole dimostrare a Teheran che il tempo è scaduto e che ora si fa sul serio. La corsa iraniana all'atomica va fermata.
L'incontro si è protratto per oltre un'ora, con i consiglieri del presidente a continuare il briefing. Secondo la ricostruzione di uno dei partecipanti all'incontro, Robert Kagan, Obama voleva sottolineare l'efficacia della nuova strategia della Casa Bianca, quel misto di pressioni politiche e di sanzioni economiche che ha preso il posto della politica della mano tesa.
Per rafforzare il concetto, l'Amministrazione ha diffuso un documento di sette pagine intitolato "Factsheet on Iran Sanctions" che spiega come dal momento dell'approvazione della risoluzione Onu numero 1929, la comunità internazionale e molti grandi gruppi privati abbiano iniziato a lavorare insieme per rispettare il dettato della documento delle Nazioni Unite e addirittura andare oltre.
L'Unione europea, la Norvegia, il Canada, l'Australia e il Giappone hanno separatamente deciso di varare un pacchetto di sanzioni ulteriori rispetto a quelle previste dal Consiglio di Sicurezza nei settori strategici dell'energia, dei trasporti, dei servizi bancari, del commercio e delle assicurazioni.
L'accerchiamento diplomatico della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, si legge sul documento, sta riuscendo anche a convincere i grandi gruppi internazionali che l'Iran non è più un posto buono per fare affari. L'elenco delle aziende che si sono impegnate pubblicamente a non avviare nuove attività economiche in Iran è molto lungo. Ne fanno parte due colossi italiani, Eni e Finmeccanica.