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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2010 alle ore 18:38.
La «casa dello scandalo» è un appartamento di 60-70 metri quadri con un piccolo balcone a Palais Milton, in Boulevard Princesse Charlotte 14 a Montecarlo. Ci abita Giancarlo Tulliani, fratello di Elisabetta, la compagna da cui il presidente della Camera Gianfranco Fini ha avuto due figlie.
Il canone di locazione è ignoto ma, come ha fatto sapere il legale di Tulliani, Michele Giordano, è «più di 1.500 euro al mese», a cui si aggiungono le spese condominiali.
L'immobile fa parte dell'eredità lasciata ad Alleanza Nazionale da Anna Maria Colleoni, discendente del condottiero bergamasco che nel XV secolo fu il luogo tenente del conte di Carmagnola. Di schiette simpatie fasciste, la Colleoni fu sempre vicina al Movimento sociale italiano e poi ad Alleanza Nazionale, a cui nel '99 lasciò una ricca eredità perché servisse ad alimentare la «buona battaglia». Oltre all'appartamento monegasco finito nella disponibilità di Giancarlo Tulliani, facevano parte del lascito altri immobili a Roma e a Ostia e terreni a Monterotondo, in provincia di Roma, dove la nobildonna viveva.
L'appartamento è stato venduto nel 2008 alla Printemps Ltd, una società offshore con sede a Saint Lucia, un paradiso fiscale caraibico compreso nella lista grigia dell'Ocse come Paese a rischio riciclaggio. La società è controllata dalla Jaman Directors Ltd, un altro veicolo offshore con sede allo stesso indirizzo della Printemps. A metà ottobre dello stesso anno l'immobile passa alla Timara Ltd, che oggi riscuote l'affitto da Tulliani.
L'appartamento monegasco sale alla ribalta della polemica per l'inchiesta avviata dal Giornale di Feltri, che accusa fra l'altro l'allora Alleanza Nazionale di aver rifiutato offerte di vendita più ricche di quella della Printemps. Dall'inchiesta del quotidiano diretto da Vittorio Feltri sono nate anche delle denunce contro ignoti, presentate da alcuni esponenti della Destra che chiedono di invalidare il viaggio dell'immobile a bordo delle società offshore in quanto non coerente con la «buona causa» a cui l'aveva vincolato Anna Maria Colleoni.