Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2010 alle ore 08:00.
ROMA
Dopo che l'annuncio del governo sul piano programmatico in quattro punti su cui chiedere la fiducia in Parlamento a settembre sembrava avere riportato un po' di serenità nella maggioranza, la vicenda della casa di An a Montecarlo ha fatto nuovamente salire ai massimi livelli la tensione tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini e tra il Pdl e i finiani di Futuro e libertà.
Gli otto punti con cui il presidente della Camera ha tentato di chiarire in una nota i vari risvolti relativi all'appartamento monegasco, lasciato in eredità ad An dalla contessa Anna Maria Colleoni, e affittato dal cognato, non hanno particolarmente convinto, non solo parlamentari e giornali "berlusconiani", ma anche il Corriere della sera ed esponenti del centro-sinistra, come la vicepresidente del Senato Emma Bonino, che non li ha giudicati «solidissimi».
Ma a fare precipitare le cose sono state soprattutto le reiterate richieste di dimissioni a Fini, da parte del Pdl e in particolare del suo portavoce Daniele Capezzone, rilanciate dalla raccolta di firme lanciata dal Giornale di Vittorio Feltri. «Se vuole compiere un atto di dignità e non di viltà politica – ha sostenuto Capezzone – Fini deve rassegnare le dimissioni». Che, a suo giudizio, sono inevitabili per due ragioni. In primo luogo perché «è ormai un caso pubblico, per milioni di cittadini, la scarsa trasparenza della situazione relativa alla casa monegasca, e quelle fornite ieri da Fini sono delle "non spiegazioni". Per altri, in circostanze meno gravi, i finiani hanno reclamato dimissioni immediate». Quindi, sottolinea il portavoce del Pdl, perché «Fini non è più super partes, e da tempo, nella sua funzione di terza carica dello Stato».
Per Feltri, il presidente della Camera si è comportato come Claudio Scajola, ma a differenza di questi, «non sente la necessità di dimettersi, se non altro per coerenza con quanto ha sempre predicato». Con la raccolta di firme, spiega il direttore del Giornale, «desideriamo dargli una mano a rompere gli indugi: lasciare la presidenza della Camera e limitarsi a essere il leader di Futuro e libertà».
Fini, che non ha alcuna intenzione di dimettersi, ieri ha partecipato alla commemorazione del diciannovesimo anniversario dell'assassinio del giudice Antonino Scopelliti, promossa dal Movimento "Ammazzateci Tutti" e dalla Fondazione "Antonino Scopelliti". Nella straordinaria testimonianza di Scopelliti «di incorruttibile e coerente servitore dello Stato – ha detto – può continuare a specchiarsi l'Italia migliore, quella dei cittadini onesti che amano il proprio paese e che ne difendono incondizionatamente i principi di giustizia e di legalità». Al Giornale e, soprattutto, a Capezzone, hanno replicato i finiani. Usando in un primo tempo l'ironia, quindi in modo durissimo. E senza risparmiare neppure Roberto Maroni, che aveva lanciato un ultimatum, invocando il voto anticipato qualora «i finiani dovessero ancora votare come l'Udc».