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La Fed compra altri titoli di stato

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2010 alle ore 08:03.


NEW YORK
La Federal Reserve è pronta a monetizzare una porzione del debito pubblico per dare una nuova spinta al passo da lumaca dell'economia americana. Al termine della consueta riunione del Federal Open Market Committee, il comitato esecutivo della Banca centrale ha confermato ieri ufficialmente il rallentamento della crescita Usa negli ultimi mesi, e ha deciso di continuare l'espansione monetaria per evitare che l'economia entri in una spirale deflazionistica. Wall Street ha risposto positivamente a una decisione in gran parte attesa, e tutti gli indici di Borsa hanno recuperato gran parte delle perdite della mattinata, anche se nei minuti finali hanno perso di nuovo terreno (S&P 500 -0,60%, Nasdaq -1,24%, Dow Jones -0,51%).
La manovra annunciata a grandi linee dalla Federal Reserve prevede il reinvestimento delle mortgage backed securities in scadenza (i titoli tossici cartolarizzati legati ai mutui) in titoli del Tesoro a lungo termine; la Fed aveva acquistato oltre mille miliardi di queste obbligazioni nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 per abbassare i tassi di interesse sui mutui e far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni ma poi non aveva riacquistato i titoli in scadenza, con l'obiettivo di far tornare gradualmente alla normalità un bilancio che in meno di due anni è lievitato da 900 miliardi a 2.300 miliardi. Benché l'importo complessivo di questa manovra sia relativamente modesto, la sua adozione lancia un chiaro messaggio simbolico ai mercati: la Banca centrale è consapevole del pericolo deflazionistico e resta pronta a intervenire se necessario. L'exit strategy e la «dieta» di bilancio possono aspettare.
La parola deflazione, una spirale al ribasso dei prezzi che ha condannato per esempio il Giappone a dieci anni di stagnazione economica negli anni 90, è sulla bocca di tutti gli operatori di Wall Street da quando le statistiche economiche hanno iniziato a segnalare la frenata della ripresa Usa. Ieri altri due dati hanno confermato il trend: la produttività negli Stati Uniti è scesa dello 0,9% nel secondo trimestre, primo calo dalla fine del 2008, e le importazioni cinesi in luglio sono aumentate solo del 22,7% contro il 53% di giugno. Il primo dato implica che le aziende americane saranno riluttanti ad assumere nuovi dipendenti; il secondo che la domanda cinese di prodotti americani potrebbe sgonfiarsi.

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Tags Correlati: Asia | Ben Bernanke | Comitato Esecutivo | Fed | George Bush | Indici finanziari | James Bullard | Milken Institute | Nasdaq | Stati Uniti d'America | Thomas Hoenig | Wall Street

 

Le implicazioni del calo di produttività sull'occupazione sono particolarmente preoccupanti perché è proprio l'elevato numero di disoccupati e di sottooccupati a frenare la ripresa economica. «La crescita della spesa dei consumatori è vincolata dall'elevato tasso di disoccupazione» si legge nel comunicato del Federal Open Market Committee, che registra anche una ripresa nel breve termine «più modesta del previsto» e un'attività edilizia «depressa». Per sostenere l'occupazione dei dipendenti degli enti pubblici, ieri il Parlamento americano ha approvato uno stanziamento di 26 miliardi di dollari destinati agli stati, una misura tuttavia di entità limitata.
Nemmeno quest'ultima manovra espansionistica della Federal Reserve avrà probabilmente un effetto sulle decisioni di investimento delle imprese americane, in parte perché le decisioni sono paralizzate dall'incertezza sulla politica di bilancio di Obama. «Le aziende non sanno ancora se il Parlamento abolirà gli sgravi fiscali voluti da George Bush o se rinnoverà i crediti di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo. E non sanno ancora quantificare gli effetti della riforma sanitaria e della riforma finanziaria sui costi aziendali» dice Ross deVol, capoeconomista del centro di ricerca Milken Institute.
DeVol resta comunque ottimista sulle prospettive dell'economia americana, in aperto contrasto con la maggioranza degli economisti Usa. «In questi giorni va di moda il pessimismo, ma un'analisi dei dati e dei trend economici passati indicano che la situazione è molto migliore di quanto non si pensi, e che il pericolo di deflazione è minimo». DeVol pronostica per il 2010 una crescita del 3,5% del Pil, la creazione di 1,8 milioni di nuovi posti di lavoro, e un aumento del 2,8% della spesa in consumi; ma ammette che gli ultimi dati su produttività, importazioni cinesi e occupazione potrebbero costringerlo a ritoccare le previsioni al ribasso. Anche dopo il ritocco, la sua previsione è crescita moderata, non recessione a doppia V.
È d'accordo con lui Thomas Hoenig, presidente della Fed di Kansas City, che ancora una volta si è dissociato dalla decisione del comitato esecutivo di ieri. «L'economia è in crescita e non ha bisogno di altre spinte» ha detto.
A pagina 8
Il caso virtuoso del Nord Dakota
Bernanke ago della bilancia
LA COLOMBA
Presunto falco, in realtà James Bullard (Fed di St. Louis) si è espresso a favore di nuovi acquisti di Treasury
IL PRESIDENTE
Ben Bernanke, grazie ai suoi studi sulla Grande depressione, è molto sensibile al pericolo di deflazione
IL FALCO
Thomas Hoenig (Fed di Kansas City), ha votato più volte contro la decisione di non alzare i tassi

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