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Intervista a Emma Marcegaglia: «Non c'è visione strategica all'Italia servono le riforme»

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2010 alle ore 08:05.

Il mondo guarda al Ferragosto 2010 curvo sui dati della crisi mondiale, la flebile ripresa negli Usa e in Europa, l'Italia ipnotizzata dalla crisi politica. La Federal Reserve martedì ha parlato di crescita anemica e senza vitamine in vista. Anche la Cina rallenta. Mercoledì le Borse han registrato lo scetticismo e quindi è toccato alla Banca centrale europea usare toni di pessimismo nel bollettino mensile. Così il mondo: ma in Italia le prime pagine restano grippate sulla disputa seguita alla rottura politica tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini, già fondatori del Pdl. Anziché pilotare il paese fuori dalla crisi, la maggioranza combatte una guerra civile senza possibili vincitori. Si parla di elezioni anticipate, a meno di trenta mesi dalle ultime e l'instabilità non finisce.

La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia guarda con preoccupazione a questa difficile estate: «Mi lasci dire subito che si provano sensazioni forti di amarezza ad assistere, ormai da settimane, a uno spettacolo di accuse, insulti, minacce, dossier. Lo abbiamo deprecato quando a usarlo furono settori dell'opposizione, lo deprechiamo oggi nel vedere questi strumenti usati all'interno della maggioranza. È una situazione indecorosa e non può continuare: adesso basta. Tutti i leader responsabili, di maggioranza e opposizione, devono lavorare per il ritorno, urgente, a un clima di rispetto e serietà istituzionali».

Da più parti s'era parlato, con speranze che ora sembrano illusioni, di tre anni senza elezioni, stagione perfetta per le riforme politiche ed economiche: e invece...
Anche noi abbiamo sperato nella stabilità e nelle riforme. Il governo Berlusconi, a differenza del precedente gabinetto Prodi, aveva avuto una maggioranza solida alla Camera e al Senato, e quindi era legittimo puntare su riforme condivise e ragionevoli, in politica e nell'economia. Riforme nell'interesse del paese, non di questa o quella fazione, di questa o quella categoria. L'estate dei litigi e delle polemiche ci ha invece riportato a una situazione analoga a quella che abbiamo già vissuto nel 2006 e che ha portato alla crisi del centrosinistra. Il governo ha avuto tre voti di fiducia dal paese, le elezioni politiche, le europee e le regionali, e aveva davvero un'occasione d'oro per amministrare e riformare. Tanto più che la crisi non lascia ancora intravedere nulla di rassicurante. Invece al paese non vengono presentati dibattiti politici seri, ma conflitti personali, battaglie mediatiche senza esclusioni di colpi. Non c'è un programma di lungo periodo, una strategia, una visione per affrontare i problemi. È con amarezza che assistiamo, nell'assenza di un progetto forte, alla difficoltà dell'intera classe dirigente del centrodestra, prigioniera delle sue polemiche e colpevole davanti al paese di non sapersi assumere le responsabilità per cui è stata chiamata al governo. Come nel 2006-2008 col centrosinistra, non riusciamo a ripartire ed è chiaro che il paese maturerà un giudizio grave su quel che sta, di nuovo, accadendo.

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La Federal Reserve - scrive il New York Times - non parla di deflazione e crisi a W (crisi-ripresina-crisi), ma per il mercato è come se l'avesse fatto e le Borse battono in testa. Dalla Cina all'Europa chi non è spaventato è almeno prudente. E noi a litigare.
È un momento di rara fragilità. Dalla crisi devastante, 2007-2009, il mondo è convalescente, qualche miglioramento c'era stato, poi di nuovo questa fase preoccupante. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha messo nero su bianco che la crescita americana resta debole, la Cina non ha più il passo di un tempo, da noi in Europa le delicate speranze in una crescita più robusta si vanno affievolendo. In Italia abbiamo visto miglioramenti nel settore dell'industria, ma non dimentichiamo che per recuperare quanto perduto nei mesi neri della crisi - a questo ritmo - ci vorranno anni. La produttività, vero motore di cambiamento degli equilibri nel mondo, da noi non solo non cresce, ma declina. La disoccupazione non è esplosa come si temeva, ma restano inaccettabili i troppi disoccupati tra giovani, donne e nel Sud. Ci giochiamo il futuro del paese ed è sconfortante vedere chi è stato eletto per governarci perdersi in baruffe che nel futuro faranno arrossire tanti. La nostra politica è ipnotizzata.

Manca la leadership, la capacità di concentrarsi sui problemi. In America e in Germania ci sono tanti guai, in economia e in politica, ma la sensazione di governi almeno concentrati c'è.
Anche da noi, nella prima fase della crisi, siamo riusciti a tenere sotto controllo i conti e il rigore è stato usato con buon senso. E ne abbiamo dato atto. Ora però servono riforme chiare. Lo diciamo da tempo, perché il paese torni a crescere, non un picco effimero ma una solida crescita di medio termine, occorre una stagione virtuosa di riforme, in politica ed economia. Ma come riuscirci davanti a questo narcisismo, questa auto referenzialità dove fatti personali e meschine rivalse finiscono col prevalere? Anche la Germania ha i suoi problemi, il governo della cancelliera Merkel ha perso elezioni regionali importanti ed è finita sotto pressione al Bundestag. Guida una coalizione tra democristiani e liberali abbastanza eterogenea, ma nessuno si sogna di parlare di nevrotiche elezioni anticipate, si tiene duro e si prova ad andare avanti. Vedo la Merkel varare una manovra forte e girare il mondo per dare una mano alle aziende tedesche a caccia di contratti, per sostenere l'export, polmone del paese. Basterebbe adottare da noi la stessa condotta. Il governo ha ricevuto la fiducia degli elettori? Sì? E allora basta con la politica debole e petulante, concentrarsi sui temi concreti e governare davvero. Questo noi pretendiamo dal governo.

Malgrado il caos, malgrado l'euro tornato a primeggiare sul dollaro, le nostre imprese hanno corroborato le esportazioni, con dati anche oggi buoni. Martin Wolf del Financial Times elogia le imprese italiane: «Ne avremmo bisogno da noi».
Francamente, andando in giro per l'Italia come leader di Confindustria, ascolto spesso rabbia, amarezza, incomprensione per quel che sta accadendo: tutti sentimenti che condivido. È lo sconcerto per un governo, un parlamento, una classe politica che non sa più dialogare, scontrarsi, discutere ma alla fine decidere e governare, senza questa battaglia sorda di dossier, insulti, critiche personali che lasceranno terra bruciata. E in questa terra bruciata chi avrà la forza per avviare le riforme? Sento richiami alla serietà, alla responsabilità, all'impegno da chi, nelle aziende, ogni giorno prova a impegnarsi e vede invece i leader politici perduti nelle loro polemiche e distratti davanti ai bisogni del paese. C'è amarezza e va compresa o può diventare rancore.

Da più parti, al governo come all'opposizione, sulla stampa di parte, cresce una forma di risentimento, di critica acida e pregiudiziale, che ucciderà il confronto.
È così. Se la politica non guida lascia il passo a rancori e vendette personali che allontanano dal dibattito le persone perbene. È un pericolo. Ripeto se lo sconfortante spettacolo di questi giorni non lascia il posto a un serio confronto il paese non capirà più il governo cui ha dato così solida fiducia. Il governo deve quindi andare e deve governare.

Quali sarebbero le priorità di autunno, se - con quello che oggi sembra non meno di un miracolo - gli uomini di buona volontà che ancora ci sono tra maggioranza e opposizione riuscissero a ricreare un clima di riforma?
È un programma che abbiamo spesso delineato e discusso, con la politica, le parti sociali, il sindacato, l'opinione pubblica. Va bene meno spesa pubblica, bene restare saldi sul rigore e i conti, ma adesso temi cruciali sono ricerca, scuola e innovazione. Non basta - e lo abbiamo già detto a proposito della finanziaria - migliorare i meccanismi in opera, occorre investire di più: ci vogliono più fondi, presto. La riforma fiscale deve andare avanti, o che cosa diremo alle imprese che, come ha dimostrato il nuovo studio di Mediobanca, sono le migliori nell'export e nell'innovazione e vedono tutto quanto realizzato falciato alla fine da una fiscalità che l'Irap rende micidiale e penalizzante? La produttività è centrale a questo cambiamento decisivo che lo stagno in cui ci stiamo infilando rallenta. La mia Confindustria dopo dieci anni di impasse ha varato una riforma degli assetti contrattuali cercando di coinvolgere tutti, ma alla fine decidendo di andare avanti anche senza la Cgil, puntando sulle regole e su un migliore rapporto tra salari e produttività. E ha sostenuto la strategia di innovazione di Sergio Marchionne e della Fiat. Una strada di maggiore produttività e nuovi accordi non solo per l'auto e Torino, e neppure solo per le grandi imprese. Ma per tutti i produttori e le imprese, grandi o piccole.

La Fiom e la sinistra radicale han però parlato di diritti lesi...
La Costituzione e i diritti del lavoro stanno a cuore a tutti. Ma attenzione, lo dico senza polemiche, a un paese con diritti perfetti sulla carta, tutelati con grinta dai pretori e dai tribunali, ma senza più lavoro, tutto risucchiato all'estero dalla concorrenza globale che non darà requie. Chi ha davvero a cuore i diritti deve creare le condizioni perché in Italia si produca molto, bene e prodotti di qualità e alto tasso di tecnologia.

Insomma l'agosto 2010 vede questa Italia divisa, tra chi prova a far ripartire il Made in Italy, cioè il benessere per le nostre imprese, il ceto medio e i lavoratori, e una politica cieca che litiga. Il presidente Napolitano anche oggi richiama a una condotta onorevole e un dialogo istituzionale corretto. Populismo e rancore dietro l'angolo: qualcuno parla di tregua nelle polemiche, c'è speranza?
Questo irresponsabile massacro deve finire. Dobbiamo difendere la nostra visione strategica, la visione necessaria alla crescita. Noi imprenditori andiamo in giro per il mondo per difendere le imprese e il lavoro non possiamo più sentirci soli. Dalle istituzioni, in testa il presidente della Repubblica, da governo, maggioranza e opposizione, chiunque deve contribuire al ritorno alla normalità. Siamo e restiamo nel mezzo di una difficile crisi e la coesione sociale resta fondamentale. Da anni si parla di un nuovo autunno caldo e finora imprese, sindacati e governo, con gli ammortizzatori sociali, l'hanno evitato. Ognuno ha provato a fare il proprio dovere, anche le banche, e le famiglie che sono rimaste il primo welfare. Non si può però tirare troppo la corda, bisogna agire con serietà.

Dopo Ferragosto ci sarà il ritorno dei talk show, delle interviste, degli eterni retroscena. Si parlerà di elezioni anticipate, di autunno o di primavera, di governi di emergenza, tecnici, istituzionali, insomma per ogni gusto. Lei cosa ne pensa?
Ripeto il mio invito alla serietà. Elezioni anticipate? Ma vogliamo scherzare? A meno di tre anni dalle elezioni anticipate del 2008? Vogliamo ritornare alla Prima repubblica degli anni 70? Non tocca a me e a Confindustria dare soluzioni o fare proposte politiche. Certo dico che non porta fortuna insistere nelle forzature. Abbiamo fatto delle conquiste faticose, il maggioritario, l'alternanza, non credo sia una grande idea tornare al proporzionale senza sbarramento dei partitini di un tempo. Questa legge elettorale non è brillante e molti autorevoli osservatori l'hanno criticata perché a scegliere i parlamentari sono i leader dei partiti e non gli elettori, con quali risultati purtroppo abbiam visto: ma riformarla non è impossibile. Nel mezzo della più grande crisi dal 1929, però, il paese pretende stabilità e un governo con una maggioranza fortissima non può parlare di tornare alle urne. Se lo farà, se la classe dirigente del centrodestra non riuscirà a riportare la legislatura su binari normali, se la rissa vincerà, non sarà una sconfitta per questo o quel leader del governo, ma per l'intera leadership che ha vinto le elezioni del 2008. Lo sconforto prevarrebbe e boccerebbe tutti stavolta.

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