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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2010 alle ore 08:02.
ROMA - Nonostante la stima e il rispetto manifestati al capo dello Stato da diversi esponenti di Pdl e governo, la tensione tra il partito del premier e Giorgio Napolitano sulle prospettive e gli sbocchi di un'eventuale crisi resta ancora alta. Dopo la dura nota con cui il Quirinale ha replicato all'intervista rilasciata al "Giornale" da Maurizio Bianconi, la posizione del Pdl è stata ribadita dal capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto.
Una posizione di fondo, dettata da Silvio Berlusconi e sottoposta in questi giorni al capo dello Stato «con il rispetto che sempre abbiamo avuto». Il Pdl, assicura Cicchitto, non seguirà certamente «la linea a suo tempo portata avanti dal Pci quando provocò le dimissioni di Leone malgrado il suo comportamento fosse stato ineccepibile e quando cercò invano di raggiungere l'impeachment di Cossiga». Al di là della cortesia istituzionale, gli interventi di Napolitano non sono stati affatto graditi dall'entourage di Berlusconi e dallo stesso premier – che i suoi decrivono «sorpreso» dalla nota di ieri – anche perché avrebbero offerto un sostegno a chi lavora per soluzioni alternative al voto anticipato. Da qui anche la convinzione, condivisa dalla Lega, che Napolitano parli a nuora (Bianconi) perché suocera (Angelino Alfano, che ha detto chiaramente che un governo tecnico andrebbe contro la sovranità popolare sancita dalla Costituzione) intenda. Indipendentemente dalle espressioni usate dall'onorevole Bianconi, sottolinea così Cicchitto, «in tutti questi giorni, abbiamo riaffermato questa posizione di fondo: perseguiamo l'obiettivo positivo di ottenere la fiducia e il sostegno del parlamento su quattro punti qualificanti sui quali si concentrerà l'attività del governo; invece, nel caso in cui questa fiducia della maggioranza del parlamento non venga ottenuta, allora riteniamo che si debba andare al voto degli italiani e non si debba dar vita a governi tecnici o di transizione».
I numerosi attestati di stima nei confronti del presidente della Repubblica, come quello di Gianfranco Rotondi, che ha sottolineato «la grande stima e, ormai, dopo qualche anno, anche il profondo affetto che Berlusconi e tutto il governo nutrono per Giorgio Napolitano», non sembrano dunque arrestare la contrapposizione con il Quirinale. Maurizio Gasparri ha avvertito che «se viene meno la maggioranza, la parola deve tornare agli elettori: non può decidere una congiura di palazzo». Napolitano, però, non intende privare il Parlamento del ruolo previsto dalla Costituzione né rinunciare alla sua prerogativa di garante del rapporto di fiducia fra parlamento ed esecutivo in carica, né al compito che gli spetta, prima di un eventuale scioglimento anticipato delle Camere, di verificare se esse sono in grado di sostenere un altro governo, mentre il Pdl non vede che le elezioni anticipate quale unica alternativa all'attuale governo. In ogni caso, il confronto fra Berlusconi e il suo partito e il capo dello Stato sui rispettivi ruoli non è nuovo. Emerse il giorno stesso in cui si chiusero le urne con la vittoria del Pdl. Berlusconi considerava un rito stantio le consultazioni e le procedure per assegnargli l'incarico di formare il governo, e cominciò a designare i ministri senza informare il Quirinale. Napolitano tenne il punto, frenò Berlusconi. Lo fece attendere tre settimane prima di affidargli l'incarico: il tempo necessario per insediare il Parlamento e i suoi organi e di svolgere le consultazioni formali, che durarono solo due giorni, ma si svolsero con la consueta ritualità. Solo dopo questi passaggi Napolitano consentì a Berlusconi di far nascere il suo esecutivo.