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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2010 alle ore 09:20.
Twitter scuote il trentottesimo parallelo e dà vita a un caso politico internazionale. Il regime dittatoriale nordocoreano ha deciso di sparare con una nuova artiglieria mediatica oltre il confine più militarizzato del mondo, affidandosi al social network e a YouTube per rafforzare una propaganda che arriva fino agli insulti. Dal 12 agosto – con il nome utente di uriminzok e uriminzokkiri (Il nostro popolo) – ha attivato un account Twitter che dai 560 "followers" di lunedì è già salito ieri a quasi 6mila, mentre dal 14 luglio un apposito canale YouTube lancia minivideo che esaltano il leader Kim Jong-il e ridicolizzano gli avversari.
Il governo di Seul è stato colto di sorpresa: minaccia di punire i propri cittadini che accedono - anche solo per curiosità – ai siti "nemici" e si prepara ad avviare negoziati con Twitter e Google (gestore di YouTube) per impedire sgraditi contatti intercoreani. In più, mentre sono in corso le manovre militari congiunte con gli Usa a severo monito verso Pyongyang, l'amministrazione del presidente Lee Myong-bak si è infuriata per i commenti piuttosto ingenui del portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley, che proprio su Twitter ha lanciato messaggini beneaugurali: «Noi diamo il benvenuto alla Nord Corea su Twitter e sul mondo interconnesso».
«Il Regno Eremita non cambierà all'improvviso, ma la tecnologia, una volta introdotta, non può essere cancellata. Basti pensare al caso dell'Iran...», ha aggiunto Crowley in un altro tweet. Se al Nord internet è poco diffuso e il governo controlla in modo ferreo il flusso di informazioni con il mondo esterno, il democratico Sud – che dal 2004 ha bandito 65 siti, compreso quello ufficiale del Nord al quale il nuovo sito Twitter rinvia – ricorda ai suoi cittadini che tentano di diventare "followers" del nemico che il contenuto richiesto è illegale.
Una legge prevede che le relazioni con i nordcoreani non notificate al ministero dell'Unificazione siano passibili di una multa fino a 2.500 dollari, mentre le normative sull'ordine pubblico contemplano fino a 10 anni di prigione per chiunque comunichi con gruppi sovversivi nella consapevolezza che ciò possa minacciare la sicurezza nazionale. A Seul non conviene un giro di vite troppo severo che susciterebbe forti reazioni nell'opinione pubblica in favore dell'accesso all'informazione e della libertà di espressione. Non si è sopito il ricordo (con eco di proteste internazionali) di «Minerva», il giovane blogger arrestato l'anno scorso solo perché diffondeva via web in modo anonimo le sue (pessimistiche) opinioni sul- l'economia: diventato popolare, era stato accusato di danneggiare la nazione. Seul ha l'occasione di non mettersi sullo stesso piano di Pyongyang.