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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 07:54.
Altro che capitale morale. A Milano lo Stato non induce più rispetto e non fa più paura.
I ragazzi italiani che domenica in piazzale Corvetto hanno circondato un vigile e lo hanno picchiato («cosa fai sbirro, devi mollare il nostro amico, così capisci chi comanda») hanno mostrato quanto il disconoscimento dello Stato abbia preso piede a pochi chilometri dal Duomo, non a Gela o a Locri. E, ieri, l'ennesima rissa con feriti in via Chavez, una traversa di via Padova, e l'accoltellamento con morto (un albanese) alla Bovisa.
Milano alza le serrande dopo le ferie e si scopre così: violenta e abitata da milanesi che, per usare le parole dei ragazzi accorsi a piazzale Corvetto a difendere un loro amico dal "ghisa", dell'autorità «se ne fottono».
Secondo una stima compiuta dal Sole 24 Ore su dati forniti dal dipartimento di urbanistica del Politecnico di Milano, sono almeno 150mila i milanesi che abitano in zone colpite da un misto di disagio esplicito e paura opaca, criminalità organizzata professionale e balordi di strada. Una città di medie dimensioni. La cartina è presto fatta. Fra le 40mila e le 50mila persone si trovano a ridosso di piazzale Corvetto. Nella via Padova che ospitò la mitica "mala" degli anni Settanta se ne trovano fra le 50mila e le 60mila. In viale Sarca, intorno alle case pubbliche occupate e gestite dalle cosche, ce ne sono fra le 30mila e le 40mila. A Ponte Lambro, dove nemmeno il razionalismo dei progetti di Renzo Piano ha lasciato il segno, eccone altre 5mila. Infine, abitano in 5mila allo Stadera che sulla mappa noir rappresenta un fiore perché dà segnali deboli di vita e di rinascita. Un conteggio per difetto, da cui sono escluse periferie come Quarto Oggiaro, che nella loro staticità (le due terribili d, delinquenza e droga) sembrano cadute nel dimenticatoio. Quasi nessuno ne parla più, di Quarto Oggiaro.
«Sono fenomeni molto diversi», specifica l'urbanista del Politecnico di Milano, Matteo Bolocan. C'è la situazione dura e incancrenita delle case di viale Sarca, dove opera una vera criminalità organizzata di stampo mafioso, con il controllo militare del territorio e le ricadute sulla mentalità di chi subisce tutto questo. «E ci sono pezzi di città più contraddittori – aggiunge Bolocan – in cui le sacche di segregazione sociale non producono sottoculture permanenti e caratterizzate da un territorio preciso. Come in via Padova, dove si alternano spaccati di buona integrazione a focolai più problematici».