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Contributi pubblici più alti dove l'azienda è meno efficiente

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2010 alle ore 08:06.

ROMA
Un mercato alla rovescia, dove le imprese peggio gestite e meno efficienti ricevono più denaro pubblico delle virtuose. Un mercato diseguale, dove convivono aziende con performance di livello europeo, in generale al Nord, e altre praticamente già fallite, in generale al Sud, tenute in vita solo dai continui ripiani dei deficit da parte degli enti locali proprietari. Un mercato che non è un mercato: nel trasporto pubblico locale non vincono le logiche industriali, come meriterebbe un settore che drena risorse pubbliche per quasi 6 miliardi l'anno e impiega oltre 115mila dipendenti. Ma l'approccio assistenzialista nei confronti di chi usa i mezzi pubblici e il municipalismo statalista e l'occupazione dei posti verso le imprese che li gestiscono.
Questo il fermo immagine del comparto se lo fotografiamo dall'angolo delle capacità di gestione degli operatori, pubblici in particolare perché i privati devono pur chiudere i bilanci almeno in pareggio, che fanno viaggiare autobus, tram e metropolitane nelle nostre città e assicurano i collegamenti extraurbani. Con alla mano i numeri elaborati da Axteria, società di consulenza strategica, da anni impegnata nell'elaborazione di statistiche di benchmark con gli altri Paesi Ue e tra i diversi territori della penisola.
«Quel che emerge dai conti in tasca che abbiamo fatto a una decina di Regioni italiane – racconta Pierluigi Troncatti – è che più il margine industriale è risicato, più cospicui sono i contributi pubblici erogati. Dove l'Ebitda si colloca tra il 7,2% e il 9,6% il corrispettivo a chilometro si posiziona attorno ai 2 euro, con Ebitda tra il 2,6% e il 3,8% si sale, rispettivamente a 3,3 euro e a 2,5 euro a chilometro». Nel caso più virtuoso, dove il margine è addirittura al 22,6%, il contributo per chilometro è appena di 1,4 euro.
L'equazione è presto fatta: chi ha costi operativi più alti, sopra la media italiana che è di 4,6 euro per bus/chilometro, sconta una redditività bassa perché la copertura delle uscite è ridotta e quindi ha bisogno di ricevere più denaro pubblico per rimanere in equilibrio. Tanto per citare un nome Cotral, che gestisce le corse extraurbane nel Lazio, costa il 60% in più della media nazionale, ovvero 2,56 euro a chilometro nel 2006. Rispetto ai 95 centesimi de Lamarca a Treviso, all'euro e 52 centesimi del Cotrap a Bari e Brindisi, all'euro e 30 centesimi della Scat ad Alessandria, all'euro e 40 centesimi della Sab a Bergamo e all'euro e 59 centesimi di Siena mobilità, secondo rivelazioni condotte di recente da Isfort, l'Istituto per la ricerca e la formazione nei trasporti. Per non dire dell'Atac di Roma, che riunisce le due aziende della capitale Trambus e Me.Tro: ha chiuso il 2009 con 91 milioni di perdite e dopo la fusione veleggerebbe quest'anno verso i 170 milioni di buco.

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«Gli indicatori che meglio mostrano l'efficienza raggiunta dal sistema sono il grado di copertura dei costi con i ricavi da traffico – continua Troncatti – che varia di oltre 25 punti percentuali, dal 14,8% al 40% e i chilometri percorsi per addetto, compresi tra i 10.424 e 30.813 l'anno». Scontata la velocità a cui viaggiano i bus, che incide parecchio su quest'ultimo parametro e varia fortemente tra aree metropolitane e corse extraurbane, resta un divario abissale tra le distanze percorse dagli autisti in Regioni diverse. Con le conseguenze immaginabili sui livelli di produttività.
Non stupisce, quindi, che il conto economico aggregato del trasporto locale mostri una redditività negativa, con 5 punti di scarto rispetto alla media degli altri Paesi europei: l'Italia è ferma al 6% contro l'11%, e sconta così un deficit di quasi un centinaio di milioni l'anno. Se guardiamo alle imprese delle grandi città del Sud Europa (al Nord le percentuali sono ancora più alte) scopriamo che la Ratp, che gestisce il sistema di metropolitane e treni regionali di Parigi, fa segnare un margine industriale del 22%, che Berlino è al 13%, Madrid al 12%, Barcellona al 14% e Lione al 16%.
Lo studio di Axteria mantiene le Regioni nell'anonimato ma si coglie nel segno se si collocano Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto tra le Regioni virtuose, con margini operativi che oscillano tra il 6,1% e il 9,6%, e il Lazio e la Campania nelle posizioni di coda.
«Le cause fondamentali di questa situazione – conclude Pierluigi Troncatti – sono tre: la frammentazione del settore caratterizzato da imprese nane se confrontate con i concorrenti europei, la bassa velocità commerciale dovuta alla congestione da traffico e all'assenza di adeguate politiche di contrasto dei Comuni, e le tariffe troppo basse». A Londra il biglietto ordinario costa 2 euro, l'abbonamento settimanale 20, il mensile 116 e l'annuale 1.210 mentre a Milano l'ordinario è fermo a 1 euro, il settimanale a 9 euro, il mensile a 30 euro e l'annuale a 300. Le basse tariffe impediscono alle aziende di agire sulla leva dei ricavi e di trovare le risorse per investire. Anche in qualità, per esempio in bus nuovi e confortevoli. Secondo Eurobarometro in Italia sono soddisfatti del servizio il 50% dei passeggeri, in Spagna si sale al 61%, in Francia al 60% e in Germania al 59%. Tutto torna.
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I NUMERI

2 euro
Contributo pubblico
In base all'indagine condotta da Axteria dove l'Ebitda si colloca tra il 7,2% e il 9,6% il corrispettivo a chilometro si posiziona attorno ai 2 euro, con Ebitda tra il 2,6% e il 3,8% si sale, rispettivamente a 3,3 euro e a 2,5 euro a chilometro
100 milioni
Il gap
Il conto economico aggregato del trasporto locale mostra una redditività negativa, con 5 punti di scarto rispetto alla media degli altri paesi europei: l'Italia è ferma al 6% contro l'11%, e sconta un deficit di quasi un centinaio di milioni l'anno
50%
Indice di soddisfazione
Secondo Eurobarometro in Italia sono soddisfatti del servizio di trasporto locale il 50% dei passeggeri, in Spagna si sale al 61%, in Francia al 60% e in Germania al 59%

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