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La Dc? Il partito che salvò il Veneto

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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2010 alle ore 08:03.


I riti della polemica politica nostrana si spingono a volte fino al paradosso di ridisegnare a piacimento la storia. Il refrain della Democrazia cristiana partito monstre che ha plasmato per oltre quarant'anni il paese a sua immagine e somiglianza è ricorrente. C'è del vero, ma un inedito assoluto è ora l'accusa alla Dc di essere stato di fatto un partito «anti-nord». L'anatema, quanto meno ingeneroso, è di Umberto Bossi che ha accumunato Pier Ferdinando Casini a quei «furfanti e farabutti dei democristiani che tradivano il nord». Grande e composito partito la Dc, tentacolare nelle sue molteplici espressioni, diviso in varie anime fin dalla sua origine, ma forza concreta di governo che ha espresso nel corso dei decenni autentici uomini di stato, politiche nazionali a tutto tondo e certamente non avverse al nord produttivo e industriale del paese.
Nato come partito del nord
Pare utile ricordare – osserva la storica Simona Colarizi – che la Dc nasce come partito del nord. Già, perché l'atto fondativo è dell'estate del 1942: esponenti di spicco del «movimento guelfo» si riuniscono a Borgo Valsugana con De Gasperi e pochi mesi dopo, in ottobre, a Milano in un convegno clandestino che ha luogo (scelta tutt'altro che casuale) nell'abitazione dell'industriale Falck, nasce il «partito della Democrazia cristiana». Grande ispiratore del nuovo partito è Pietro Malvestiti e il suo «programma di Milano», dalla forte impronta federalista.
Il 18 aprile e il nord-est
Nelle elezioni del 18 aprile del 1948, la Dc conquista la maggioranza assoluta alla Camera con il 48,5%, contro il 39,7% del cartello delle sinistre. Affermazione netta. «Se analizziamo il voto – osserva lo storico Agostino Giovagnoli – scopriamo che la Dc ottenne oltre il 60% dei suffragi nel Triveneto e nell'alta Lombardia, proprio i luoghi dove oggi la Lega raccoglie i maggiori consensi». Cominciano gli anni della ricostruzione sotto la regìa dei governi centristi. È la stagione delle grandi riforme, che prepareranno il terreno allo sviluppo impetuoso della fine degli anni Cinquanta, gli anni del «miracolo economico». Nell'ottobre del 1950 il Parlamento approva la legge di riforma agraria messa a punto dal sesto governo De Gasperi. «È la Dc che promuove quella legge con forza, guardando prima di tutto al Polesine», spiega Simona Colarizi. Al Tesoro c'è Giuseppe Pella, piemontese, fautore della linea del rigore finanziario di Einaudi ma anche di una politica industriale attenta al mondo delle imprese. Alle Finanze c'è Ezio Vanoni, originario di Morbegno in Valtellina. All'Agricoltura Antonio Segni, sassarese, futuro presidente della Repubblica. Vanoni è il padre della riforma fiscale che per la prima volta introduce l'obbligo della dichiarazione dei redditi. E in rapida sequenza, il varo di provvedimenti per l'edilizia popolare, il rilancio delle opere pubbliche, la nascita dell'Eni. La spinta politica alle riforma trova origine in personaggi come Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. La Dc presenta all'elettorato il suo volto riformatore, erode consensi in terreni tradizionalmente favorevoli alle sinistre. E apre per la prima volta, con l'aretino Amintore Fanfani, ad alleanze organiche con i socialisti.

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La «periferia del nord»
«La realtà – osserva Giovagnoli – è che la Dc ebbe un ruolo strategico soprattutto nelle aree depresse dell'Italia settentrionale, aree di emigrazione transoceanica e poi europea. Il grande lavoro fatto dalla Dc nel corso dei decenni, e penso a personaggi come Mariano Rumor, è stato proprio quello di collegare il centro alle periferie, laddove la periferia non è il sud». Punto di riferimento è il sistema delle piccole e medie imprese e il mondo agricolo. «Basta guardare allo sviluppo che ha avuto il Veneto nei primi decenni del dopoguerra. Tassi di crescita che non si erano mai registrati nei secoli precedenti». Decisiva – aggiunge Simona Colarizi – è la tradizione cattolica impersonata da personaggi come Antonio Bisaglia, grande stratega della Dc in Veneto che amava ricordare: «Non farò mai il segretario della Dc ma sono uno dei pochi che lo decidono».
Si racconta così una storia completamente diversa, rispetto alla vulgata che vuole la Dc «partito del sud». In realtà, il lungo percorso di "conquista" del Mezzogiorno si concretizza di fatto solo alla fine degli anni Ottanta. È questa è ancora un'altra storia, quella delle «cattedrali nel deserto» delle partecipazioni statali e degli interventi straordinari a pioggia, clientele e voti.
Marcora, Andreatta, Pandolfi
È la Dc degli uomini migliori, ma l'elenco sarebbe lungo e peccherebbe di difetto. Vale la pena di citare quanto meno il lombardo Giovanni "Albertino" Marcora, che guida ininterrottamente il ministero dell'agricoltura dal 1974 al 1980, e il trentino Beniamino Andreatta, l'ideatore con Carlo Azeglio Ciampi dello storico «divorzio» con la Banca d'Italia: il suo primo incarico ministeriale al ministero del Bilancio è del 4 agosto 1979 (primo governo Cossiga). Al Tesoro, c'è il bergamasco Filippo Maria Pandolfi. Un anno prima, nell'agosto del 1978, con lo stesso incarico nel quarto governo Andreotti (la «Nota aggiuntiva» di Ugo La Malfa nel 1962, primo tentativo di programmazione economica, sembrava un lontano ricordo), Pandolfi aveva presentato il suo «Piano», base del successivo «piano triennale 1979-1981». Su tutte spicca un'affermazione: «Per la nostra economia s'impone una profonda trasformazione. Occorre passare da un'economia di trasferimenti a un'economia di crescita, basata sul contenimento dei salari e l'incremento della produttività». E che dire del piemontese Giovanni Goria, nel 1987 presidente del Consiglio a 44 anni, o del ligure Carlo Donat Cattin, il ministro del Lavoro del secondo governo Rumor che gestì l'autunno caldo del 1969, o di Flaminio Piccoli di origini trentine nato nel Tirolo austriaco, gran capo dei dorotei, due volte segretario del partito?
«L'impronta della Dc è costante nella nostra storia – osserva Bruno Tabacci, dc di lungo corso – ovunque c'è stata una grande tradizione di governo locale. Non si può liquidare il tutto con una battuta». A liquidare il partito di De Gasperi e Fanfani è stato nel 1993 il suo ultimo segretario, il bresciano Mino Martinazzoli che in un'intervista dello scorso anno ha per così dire anticipato l'attacco di Bossi con questo «uno-due»: «Mi auguro che gli italiani ritrovino prima o poi il senno che hanno lasciato sulla luna. La Lega è prensile, cambia velocemente le parole d'ordine, è un partito reazionario».
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NELLA STORIA DELLA DC

La nascita
Sin dagli albori la Democrazia cristiana si presenta come un partito del Nord. La sua nascita risale all'estate del 1942 quando alcuni esponenti di spicco del «movimento guelfo» insieme ad Alcide De Gasperi si riuniscono a Borgo Valsugana. A ottobre il battesimo vero e proprio nell'abitazione milanese dell'industriale Falck
La riforma agraria
Da subito la Balena bianca fa il pieno di voti al settentrione. Nel 1950 si apre la stagione delle grandi riforme. A ottobre viene varata quella agraria messa a punto dal sesto governo De Gasperi che farà sentire i suoi effetti innanzitutto nel Polesine
Le tappe successive
Protagonista di quegli anni è Ezio Vanoni. Originario di Morbegno in Valtellina, da ministro delle Finanze, Vanoni è il padre della riforma fiscale che per la prima volta introduce l'obbligo della dichiarazione dei redditi. In quegli anni arrivano in rapida sequenza, il varo di provvedimenti per l'edilizia popolare, il rilancio delle opere pubbliche, la nascita dell'Eni
Il piano Pandolfi
Tra gli uomini migliori della Dc che verranno negli anni successivi, accanto al veneto Antonio Bisaglia e al trentino Beniamino Andreatta, va annoverato il bergamasco Filippo Maria Pandolfi. Artefice, da ministro del Tesoro, dell'omonimo «piano» che fu alla base del piano triennale per l'economia 1979-1981. Contenimento dei salari e incremento della produttività le sue parole d'ordine

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