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La Fiom di nuovo in tribunale

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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:02.


MELFI
La battaglia legale tra Fiat e Fiom sulla vicenda dei tre operai licenziati a Melfi è continuata anche ieri, nel giorno in cui è arrivato l'annuncio di un'altra settimana di cassa integrazione da fare tra un mese. Ma la sensazione è che sia i sindacalisti sia i lavoratori guardino oltre, rinfrancati dall'intervento del presidente della Repubblica di martedì. Si cerca una posizione unitaria, ma non è facile trovarla.
Ieri mattina i legali della Fiom hanno depositato in Procura una memoria integrativa in fatto e in diritto della denuncia penale presentata lunedì contro la Fiat per il mancato reintegro. Poi hanno presentato al giudice del lavoro un'istanza in cui chiedono di specificare le modalità di attuazione del suo provvedimento di reintegro dei tre lavoratori. L'obiettivo è ottenere una risposta che menzioni strumenti (come l'uso della forza pubblica) che costringano l'azienda a far lavorare effettivamente i tre (cui oggi l'azienda eroga lo stipendio e consente di entrare in fabbrica, ma solo per svolgere attività sindacale).
I legali della Fiat ribattono che questa istanza è fuori dalle regole della procedura, per cui il giudice non deve alcuna risposta. Per gli avvocati dell'azienda, il procedimento per comportamento antisindacali (come quello instaurato in questa vicenda) «è, secondo la giurisprudenza costante, resa anche in giudizi che hanno coinvolto società del gruppo (Fiat, ndr), un sistema completo che si conclude, nella prima fase, con il decreto giudiziale».
Sul fronte "politico", per oggi è forte l'attesa per le parole che l'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne, pronuncerà oggi al meeting di Rimini. Mentre ieri l'unica reazione polemica al dibattito nazionale ha riguardato la scelta di campo del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, a favore della Fiat: «Non conosce la vicenda», ha risposto Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati.
Le dichiarazioni della Gelmini non hanno però intaccato la fiducia nata dopo che il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha risposto all'appello dei tre operai ricordando che bisogna rimettersi alle decisioni dell'autorità giudiziaria. Il fatto che la risposta sia arrivata in poche ore è stato letto come un dare per scontate le ragioni dei tre lavoratori, ma la cosa che più ha fatto salire la fiducia è stato l'auspicio del presidente per un confronto sereno e pacato. «Un invito a mettersi tutti quanti attorno a un tavolo – commenta Emanuele De Nicola, segretario regionale della Fiom – per concordare un piano di rilancio dell'industria italiana dell'auto. In mancanza di un ministro dello Sviluppo economico, è già molto».

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Tags Correlati: Antonio Zenga | Attività sindacale | Autorità giudiziaria | CGIL | Emanuele De Nicola | Fiat | Fiom | Giorgio Napolitano | Giovanni Barozzino | Mariastella Gelmini | Rappresentanza sindacale unitaria | Sergio Marchionne | Torino (squadra) | Vincenzo Tortorelli

 

Nell'immediato, pesa anche la crisi attuale del mercato dell'auto, che proprio ieri è tornata a incombere con la notizia che la fabbrica lucana dovrà fermarsi per una settimana di cassa integrazione, dal 22 settembre al primo ottobre. Visti i dati delle vendite di questi mesi, i lavoratori si aspettavano uno stop, ma non così presto, al terzo giorno dopo le ferie. In ogni caso, nessuno legge in questa decisione aziendale un'ulteriore sfida per alzare la tensione. Nemmeno la Fiom.
Tutti d'accordo che la crisi si può superare solo accordandosi sul piano industriale Fiat, presentato ad aprile. Per sedersi proficuamente al tavolo, i sindacati devono partire da una posizione unitaria e questo lo dicono tutti. Il problema è che non si va oltre la voglia di unitarietà: si dovrebbe partire da un'assemblea, ma non si riesce a chiederla alla Fiat, raccogliendo i necessari consensi.
Per prepararla bene, incanalandola su una piattaforma chiara e condivisa, alcuni delegati della Rsu chiedono il coinvolgimento delle segreterie sindacali territoriali. Ma il responsabile Uilm (seconda rappresentanza in fabbrica con 17 delegati, uno meno della Fiom), Vincenzo Tortorelli, non si fida: «Con la Fiom ci sono stati fatti incresciosi in assemblee del passato, ci vogliono regole precise a livello nazionale». Più possibilista Antonio Zenga (Fim, terza con 12 delegati): «Basta che mi chiamino per concordare un ordine del giorno». Ma De Nicola dice che fissare l'ordine del giorno spetta ai delegati: «È la democrazia».
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