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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2010 alle ore 08:03.
RIMINI. Dal nostro inviato
Q uesta mattina alle 11,15 al meeting di Rimini Sergio Marchionne terrà un dialogo pubblico con Bernhard Scholz, il potente capo della Compagnia delle Opere. Il manager italo-canadese e il numero uno tedesco del braccio economico di Comunione e Liberazione, per dire il massimo dei mercati globalizzati e uno dei simboli del capitalismo italiano a prato basso, si confronteranno su un tema dal titolo evocativo: "Saper scegliere la strada". Caso vuole che, per entrambi, la formazione tecnico-economica sia soltanto un completamento di una cultura umanistica che, probabilmente, porterà a discorsi alti.
Anche se la cronaca non potrà non orientare la conversazione. E, anche se la platea non potrà che essere naturalmente favorevole al risanatore del Lingotto data l'inclinazione promercato del popolo di Don Giussani, la questione più urticante farà senz'altro la sua comparsa. Nella sua versione più particolare: il caso di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, con la scelta della Fiat di ammetterli nello stabilimento di Melfi, di pagargli lo stipendio, di permettergli di svolgere attività sindacale ma di non avvalersi della loro prestazione professionale. Nella sua versione più generale: le scelte future del gruppo di Torino in merito all'Italia come piattaforma produttiva da incrementare, da conservare o da smantellare, mentre il baricentro strategico dell'aggregato Fiat-Chrysler si sta sempre più spostando verso gli Stati Uniti. In questi giorni, qui al Meeting, l'ombra di Marchionne e il peso dei suoi silenzi hanno alimentato gli interventi degli altri. Raffaele Bonanni, il leader della Cisl che anche in virtù delle affinità abruzzesi è sempre stato un suo interlocutore privilegiato, ha sottolineato come «la Fiat sbagli a rincorrere le provocazioni della Fiom perché così facendo le rafforza». Una posizione, l'invito alla reintegrazione effettiva dei lavoratori, condivisa dal ministro Maurizio Sacconi. E, nel dialogo a distanza fra l'ex socialista riformista e il leader cislino, è quasi sembrata ricomparire la suggestione del "Marchionne socialdemocratico": se Bonanni, Melfi o non Melfi, ha invitato Marchionne a coinvolgere i lavoratori nell'indirizzo e nel controllo della Fiat, «come a Detroit e in Germania», Sacconi ha ricordato, quasi con echi tardocraxiani, come questo permetterebbe di trovare un nuovo equilibrio all'insegna del «meno stato e più società». Dura la posizione di un altro membro del governo, il ministro dei Trasporti Altero Matteoli: «Le sentenze vanno rispettate anche quando non fanno piacere. Se il nostro paese è uno stato di diritto, non lo può essere a fasi alterne». Una valutazione, quella che ventila una dimensione quasi eversiva del manager della Fiat, che ha avvicinato un vecchio rappresentante della destra sociale agli epigoni del sindacalismo più radicale.