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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 08:06.
Molti autorevoli commentatori su questo giornale, ad esempio Paul Krugman e Martin Wolf, sostenevano che l'Europa sarebbe caduta in una seconda recessione (o addirittura depressione) a causa delle sue politiche fiscali, più prudenti di quelle americane. Al contrario, gli Stati Uniti avrebbero fatto meglio perché non si curavano di mantenere il deficit sotto controllo. I dati delle ultime settimane sembrano contraddire queste tesi.
Negli Stati Uniti la disoccupazione è ferma al 9,5% e sarebbe salita ancor di più se la forza lavoro non fosse scesa, ovvero se non ci fossero lavoratori scoraggiati che non cercano più occupazione e non sono quindi contati nel tasso dei senza lavoro. Molti dei disoccupati sono diventati "strutturali", cioè non hanno lavoro da molti mesi rendendosi così sempre meno impiegabili.
Il tasso di crescita del Pil dopo una breve fiammata è sceso, i dati sul mercato edilizio di luglio sono di nuovo pessimi e si mormora sottovoce di una seconda recessione. La Fed continua a lanciare allarmi sempre più preoccupati, come ha confermato ieri Ben Bernanke dicendosi intenzionato a dare nuovi stimoli all'economia anche con mezzi non convenzionali.
In Europa, invece, la Germania, il paese più prudente dal lato fiscale, ha ripreso a crescere a tassi non stellari ma simili a quelli pre-crisi; l'Irlanda sembra stia uscendo da una recessione fortissima nel mezzo di un aggiustamento fiscale draconiano; la politica fiscale in Grecia pare stia allontanando il rischio di crisi da debito; l'Italia è tornata a crescere a ritmi non inferiori a quelli pre-crisi; la Spagna sembra finalmente essersi resa conto dei suoi problemi.
Certo, l'Europa potrebbe e dovrebbe crescere di più, per limitare il suo declino relativo ad altre aree geografiche ma le politiche per la crescita non passano certo per un aumento ulteriore della spesa pubblica. Come faceva notare Carlo De Benedetti su questo giornale il 26 agosto, il mostro della deflazione e della recessione si combatte dal lato dell'offerta, ovvero con l'eliminazione di lacci e lacciuoli, più concorrenza, riduzione di aliquote fiscali punitive, riforme del mercato del lavoro.