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I libici non escludono di salire in Unicredit ma senza scalate ostili

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2010 alle ore 08:02.

Mentre le fondazioni "finiane" criticano le dichiarazioni del leader libico Muhammar Gheddafi sul destino islamico dell'Europa, dalle fondazioni azioniste di Unicredit prevale la discrezione diplomatica sull'escalation libica nel gruppo bancario. Tripoli è il primo azionista con il 7%, e si è lasciata dietro la potente Cariverona e tutte le altre. I malumori della Lega sulla crescente presenza libica nel colosso bancario, che ha in terra padana il suo reticolo dell'azionariato italiano, evidentemente trovano terreno fertile nella visita-show romana del leader libico, ma in finanza contano i fatti, specie quelli che non si vedono.

E anche da parte di Tripoli c'è massima attenzione a non turbare gli equilibri che via via l'establishment raggiunge. Alla vigilia dell'arrivo del leader l'ambasciatore a Roma, Hafed Gaddur, è stato chiaro: la Libia vuole investire in Italia rispettando le regole. Il che vuol dire che – almeno ufficialmente - non vengono cercate scorciatoie grazie all'amicizia tra il Cavaliere e il leader della Jamahiriya. Anzi, il fatto che il legame stia diventando oggetto di lotta politica (sia dall'opposizione che da dentro la maggioranza, viste le reazioni dei leghisti e dei cattolici duri e puri del centro-destra alle dichiarazioni sull'Islam) va in qualche modo ad impattare sulla presenza ormai decisiva nell'azionariato della banca di Piazza Cordusio, la più internazionalizzata del nostro sistema, che non a caso da pochi giorni ha avuto l'autorizzazione ad aprire una filiale a Tripoli.

Poca cosa, rispetto al business complessivo, ma con un alto valore segnaletico e anche simbolico, visto che fu il Banco di Roma (oggi sciolto dentro il gruppo dopo la fusione con Capitalia) a finanziare la campagna di Libia del 1911 per difendere i suoi enormi interessi. Ma Gaddur ribadisce che la politica nelle banche (come per l'investimento in Eni, o nella Juventus) non c'entra, quello che conta è il business improntato all'amicizia, quella sancita nel trattato che ieri ha visto festeggiato il suo secondo anniversario. E quindi dei rapporti con Unicredit si occupano la Lybian Investment Authority (Lia) e la Banca Centrale, e comunque sono i bracci finanziari di Tripoli (tra cui anche la ben nota Lafico) a mettere i soldi e vigilare sui rapporti, rapporti su cui ha anche un "patronage" il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, amico di entrambi i leader e con loro indirettamente intrecciato nell'azionariato dell'emittente Nessma Tv.

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Tags Correlati: Alessandro Profumo | Ben Ammar | Cariverona | Chiesa Apostolica Romana | Eni | Hafed Gaddur | Investimenti finanziari | Juventus | Lega | Muhammar Gheddafi | Nessma Tv | Roma | Salvo D'Acquisto | Tripoli | Unicredit

 

Fatto che ha scatenato nei giorni scorsi qualche polemica, a cui Gaddur ha ribattuto: «Investiamo in Italia, non nelle aziende del premier». E in Unicredit l'investimento fino ad oggi è stato cospicuo, stimato in oltre 2,5 miliardi di euro in vari step, a partire da ottobre 2008, quando fu acquistato sul mercato il 4,2% del capitale. Da allora l'amministratore delegato, Alessandro Profumo (ieri sera invitato alla grande cena alla Caserma Salvo D'Acquisto) è volato a Tripoli per consolidare i rapporti con il suo ormai primo azionista. Azionista che – a quanto si apprende da fonti finanziarie libiche – non esclude di crescere ancora, senza porsi obiettivi ma escludendo ogni tentazione di scalata ostile (su cui si è impegnato anche Ben Ammar). Dipenderà dal mercato. Del resto lo stesso Gaddur – stratega politico dei rapporti Italia-Libia degli ultimi anni, già ambasciatore presso la Santa Sede – lo dice chiaramente: «Perché non sfruttare le opportunità di investimenti che ci sono?».

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