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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2010 alle ore 08:03.
ROMA
Scudo o scudisciata? L'interrogativo non sembra peregrino alla vigilia del faccia a faccia al Quirinale tra il presidente della Repubblica e il ministro della giustizia. Nessuno spazio a trattative, ha detto e ripetuto più volte Giorgio Napolitano. Piuttosto, il capo dello stato vuole capire qual è - se c'è - il progetto del governo per risanare il sistema giustizia, e come mai vengano oggi riesumati vecchi scudi che rischiano di trasformarsi in scudisciate al sistema giudiziario, tanto da essere stati messi su un binario morto un anno fa, per far strada ad altri scudi, come il Lodo Alfano (poi bocciato dalla Consulta), il «legittimo impedimento» (al vaglio della Corte), il Lodo Alfano bis (fermo al Senato).
Perché oggi, invece di guardare avanti, si guarda indietro? Perché si ripropongono riforme - come il «processo breve» o quello «lungo» del ddl Alfano, in versione ridotta firmata da Enrico Costa - senza essere accompagnate da affidabili valutazioni di impatto e da adeguate misure finanziarie e organizzative? Interrogativi imbarazzanti. Tant'è che nel Pdl si vocifera anche di un "piano C": una legge bis sul «legittimo impedimento», che modifichi in parte la precedente, costringendo la Consulta a restituire le carte ai giudici di Milano e a rinviare la sua decisione.
Da giorni il guardasigilli si prepara a questo incontro. Stavolta, la richiesta non è partita da via Arenula e neppure da palazzo Chigi, ma direttamente dal Colle, anche se risale a prima delle polemiche delle ultime settimane: uno dei tanti contatti informativi con il ministro per una ricognizione del sistema giustizia. All'ordine del giorno, quindi, non figurano le polemiche di questi giorni sui vari scudi allo studio del governo, ma è improbabile che l'attualità non entri nello studio di Napolitano.
Tra ieri e l'altro ieri, Alfano si è praticamente chiuso a palazzo Grazioli per mettere a punto una linea insieme al premier e al suo avvocato, nonché consigliere giuridico, Nicolò Ghedini, confrontandosi con i ministri che via via arrivavano nella residenza di Berlusconi: da Bossi a Calderoli, da Frattini a Tremonti. La parola d'ordine è rassicurare il capo dello stato, nonostante l'emergenza dei processi al premier. Alfano sa come la pensa Napolitano sul «processo breve» e anche sul «processo lungo». Conosce le sue preoccupazioni per le gravi ricadute che il primo avrebbe sul sistema giudiziario, non solo a causa della norma transitoria, ma anche di quelle "a regime" (dal 10 al 40% di processi estinti). Sa delle sue riserve (in parte riflesse nel parere del Csm) sulla riforma del processo penale varata dal governo nel 2009 e ora riproposta da Costa in versione small. In particolare sulle due norme che rendono inutilizzabili le sentenze irrevocabili, ai fini della prova dei fatti in esse accertati (articolo 238 bis) e che ampliano il diritto della difesa di far ammettere dal giudice liste infinite di testimoni, anche manifestamente superflui (articolo 190). Norme destinate a incidere negativamente sull'efficienza del processo (rischio prescrizione), sulla sicurezza dei cittadini (l'allungamento dei tempi processuali potrebbe portare alla scarcerazione degli imputati per scadenza della custodia cautelare) e sulla lotta alla mafia (vista la loro applicabilità nei processi per i cosiddetti "reati spia").