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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2010 alle ore 08:06.
«Una politica di rigore generalizzata per l'Europa è controproducente. I singoli paesi non possono fare altro, perché sono vincolati dal quadro normativo e politico. Non si sente, in nessun paese, una voce contraria. Perfino in Francia i socialisti chiedono il rigore e invocano il binomio "lacrime e sangue". In Europa, alla fin fine, si parla soltanto di disavanzo. Altrove si parla anche di occupazione e di sviluppo».
Anche oggi l'economista Jean-Paul Fitoussi, che insegna all'Institut d'Etudes Politiques di Parigi, conferma le sue posizioni critiche verso le rigidità di bilancio e monetarie. Fitoussi, oltre a porsi in contrasto con l'ultrarigorismo che informa la pratica politica e le opinioni prevalenti degli economisti continentali, sta anche lavorando a una rivisitazione degli strumenti statistici e delle categorie analitiche da sempre utilizzate in questa disciplina. Su incarico di Sarkozy, con Amartya Sen (Nobel per l'economia nel 1998) e Joseph Stiglitz (Nobel nel 2001) Fitoussi compone la commissione incaricata di stendere il rapporto sulla "misura delle performance economiche e del progresso sociale".
Professore, da che cosa è ossessionata l'Europa?
L'Europa resta ossessionata dal problema dei conti pubblici. E questo nonostante abbia un disavanzo e un debito inferiori agli Stati Uniti e al Giappone. Alla fine, qui si aspetta la crescita come fosse un fenomeno meteorologico. Invece, nessuno si concentra su quelli che dovrebbero essere gli obiettivi di una società: l'aumento dell'occupazione e del tenore di vita.
Questo condizionerà il futuro?
Sì, perché è irrazionale una politica di austerità estesa a paesi con situazioni economiche diverse. E sarebbe quasi buffo, se non fosse controproducente, che questa politica si applichi perfino alla Germania. Se, poi, si aggiunge che l'Europa non ha una guida politica e che fra i singoli stati membri si innescano giochi non cooperativi, ecco che il futuro del Vecchio Continente si presenta come tutt'altro che roseo. Rischiamo la sindrome giapponese.
Sindrome giapponese significa la prospettiva, per l'Europa, di una bassa crescita e di una dinamica dei prezzi tendente allo zero. Le fluttuazioni delle commodity non influenzeranno quest'ultima?