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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2010 alle ore 08:00.

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ROMA
Accelerano le indagini sul G-8 a Perugia. E si aggrava la posizione dell'ex ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi. Appare infatti «corroborata» sia da un punto di vista di contrarietà dell'atto ai doveri d'ufficio, sia «di utilità ricevuta», la prospettiva accusatoria nei confronti di Lunardi, accusato di corruzione con il cardinale Crescenzio Sepe. Queste frasi sono tratte da quanto ha scritto il tribunale di Perugia motivando il via libera alla trasmissione alla Camera dei deputati della richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex responsabile delle Infrastrutture. Intanto dalle indagini sul G-8 spunta una nuova lista di beneficiari dei lavori svoolti dall'imprenditore Anemone: nell'elenco, trovato nel computer del commercialista Stefano Gazzani, figurerebbe anche un Berlusconi. Potrebbe trattarsi di Paolo, il fratello del premier Silvio Berlusconi.
Il troncone d'inchiesta su Lunardi, invece, riguarda l'acquisto, da parte di Lunardi, «a un prezzo di favore», secondo l'accusa dei pubblici ministeri, di un immobile in un palazzo prestigioso di proprietà di Propaganda Fide, allora guidata proprio dal cardinale Sepe, in via dei Prefetti, proprio a due passi da Montecitorio. A fronte di questa operazione l'allora ministro avrebbe consentito, sempre in base all'accusa, che la congregazione usufruisse di un finanziamento pubblico «in difetto dei presupposti» ritengono gli inquirenti. Tra gli elementi che secondo il tribunale dei ministri corroborano la ricostruzione accusatoria è indicato l'invito a dedurre – una sorta di avviso di garanzia – della procura generale presso la sezione laziale della Corte dei conti «in ordine all'assoluta carenza dei presupposti per la concessione del finanziamento pubblico» a Propaganda Fide.
La relazione-denuncia della Corte dei Conti definì «non motivato» lo stanziamento di due milioni e mezzo di euro da parte di Arcus – la spa dei ministeri delle Infrastrutture e della Cultura – nel 2005 e un milione e mezzo l'anno seguente per i lavori di ristrutturazione di un palazzo di Propaganda Fide, in piazza di Spagna. La contropartita sarebbe stata una presunta svendita dell'immobile nel palazzo dei Prefetti al figlio di Lunardi. Pagato circa 4 milioni di euro – ma nell'atto notarile stipulato nel giugno 2004 ne risulterebbero poco più di tre – quando, per gli inquirenti, valeva almeno 9 o 11 milioni di euro. Una differenza di circa 5 milioni su cui si stanno concentrando le indagini della procura di Perugia, condotte dai carabinieri del Ros.
Accertamenti sono in corso anche su lavori di ristrutturazione delle abitazioni di Lunardi a Roma e Parma. Il collegio ha inoltre citato le dichiarazioni dell'architetto Angelo Zampolini «in ordine alla sproporzione tra prezzo pagato e valore dell'immobile acquistato» in via dei Prefetti.
Nel provvedimento si sottolinea poi che l'imprenditore Diego Anemone seguì inizialmente i lavori di ristrutturazione del palazzo. Anemone «inoltre – hanno scritto ancora i giudici – intratteneva rapporti con la figlia di Lunardi cui avrebbe anche consegnato una busta, probabilmente denaro, finalizzato al finanziamento dell'operazione, per tramite del suo uomo di fiducia Hidri Fathi Ben Laid». Lunardi e Sepe hanno sempre sostenuto la correttezza del loro operato.
Nel troncone perugino dell'inchiesta sugli appalti per i Grandi eventi sono in corso ulteriori indagini volte alla ricerca e al vaglio del materiale probatorio. Lo sostengono i pm del capoluogo umbro nella richiesta di proroga delle indagini ora al vaglio del gip. La decisione del giudice Massimo Ricciarelli è attesa nei prossimi giorni. Nella richiesta di prorogare gli accertamenti per 22 indagati, i magistrati di Perugia hanno anche fatto riferimento al «notorio carico di lavoro del quale è gravato» il loro Ufficio.
La richiesta di proroga è stata avanzata dal procuratore della Repubblica facente funzioni, Federico Centrone, e dai sostituti Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi. Riguarda gli imprenditori e i funzionari pubblici coinvolti a vario titolo nella fase iniziale dell'indagine. Tra di loro Diego Anemone, l'ex presidente del consiglio dei lavori pubblici, Angelo Balducci, e i funzionari ministeriali Mauro Della Giovampaola e Fabio De Santis; il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso; il commercialista Stefano Gazzani; l'ex procuratore aggiunto a Roma, Achille Toro.
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