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Difficile il patto di legislatura, probabile il logoramento

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:06.

Se fosse davvero attuato, il "patto di legislatura" proposto da Fini a Mirabello aiuterebbe la politica a uscire dalle sabbie mobili. Potrebbe persino risultare utile al paese. Ma quante probabilità ci sono che un simile accordo a medio termine, trasparente e leale, venga siglato e soprattutto rispettato dalle forze di maggioranza? Ben poche. Il presidente della Camera è stato abile a proporlo nel momento in cui scatenava il suo duro attacco a Berlusconi e alla sua leadership, segnalando di fatto che una lunga stagione cominciata nel 1994 si avvia a conclusione.


Ma tradurre in pratica l'ipotesi del "patto" è molto più difficile che stiracchiare la legislatura ancora per un po', alimentando la scia infinita dei rancori reciproci. Per cui imboccheremo con ogni probabilità la terza via: niente patto di legislatura e niente elezioni anticipate, almeno per ora; bensì una verifica in Parlamento al termine della quale tutti, compresi i finiani, voteranno il documento comune scandito dai fatidici punti programmatici. S'intende, ognuno voterà con le sue riserve mentali, come si usava nella prima Repubblica, cosicchè alla prima occasione riprenderà la guerra di logoramento.

Allo stato delle cose, questa è purtroppo la prospettiva più probabile. E' uno scenario dettato dal pessimismo, certo, ma è l'esperienza a suggerirlo. Eppure, quando i vertici del centrodestra reclamano, non senza ragione, i diritti di chi rappresenta una maggioranza di elettori, e comunque una maggioranza parlamentare, dovrebbero porsi il problema che a tali diritti corrispondono di solito dei doveri. E il primo dovere consiste nell'esprimere un'azione di governo adeguata al mandato ricevuto. Viceversa la rivendicazione avviene solo per negare, in nome di un'imprecisata "Costituzione materiale", che sia possibile immaginare un altro governo dopo Berlusconi e prima del voto. Si tratta senza dubbio di una posizione politica legittima, purchè il centrodestra si ricordi che chi governa ha anche delle responsabilità verso il paese.

Ora, il "patto di legislatura" può essere rigettato da chi non ci crede, ma non può essere confuso con il voto di fiducia intorno a un documento programmatico per sua natura abbastanza generico. Accrescere il livello dell'ambiguità non dovrebbe convenire a nessuno, di questi tempi. Ma forse invece conviene a tutti, considerando che le elezioni anticipate le vogliono sul serio solo Bossi e Di Pietro.

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Del resto, è logico che un patto di legislatura, per avere un senso, implica un certo grado di trattativa fra i contraenti.

Fini può essere criticato finché si vuole, ma è corretto prenderlo in parola quando fa due affermazioni importanti. La prima: la disponibilità a sostenere uno scudo giudiziario per il premier che non coincida con un surrogato di amnistia destinato a uccidere migliaia di processi penali. La seconda: la richiesta alla Lega di discutere alcuni aspetti del federalismo fiscale, così da non accentuare la lacerazione Nord-Sud.

Un'intesa nella maggioranza che voglia avere il respiro di un biennio deve, è inevitabile, andare al cuore di questi problemi. Altrimenti resta solo un richiamo retorico alle riforme, che si traduce in un faticoso e sterile cabotaggio quotidiano. O, quel che è peggio, resta il gioco tattico del cerino. Vale a dire il passar di mano del fiammifero acceso, tra Fini, Berlusconi e Bossi, per vedere chi si scotterà le dita; ossia chi provocherà l'incidente definitivo, assumendosi la responsabilità di spingere il paese verso le elezioni. È davvero troppo poco, anche per il mediocre livello politico a cui siamo abituati.

Ma c'è dell'altro. Un patto di legislatura, per essere davvero qualcosa di serio, dovrebbe comportare una forma di revisione della legge elettorale. Esiste un ampio spettro del Parlamento che chiede di restituire ai cittadini un più largo margine nella scelta di deputati e senatori. Si dirà che non c'è chiarezza su quale modello adottare in luogo della legge vigente. È vero, come è vero che proporre un governo al solo scopo di procedere alla riforma elettorale, come vorrebbe l'opposizione, sa troppo di furbizia e anche d'ipocrisia.

Eppure proprio per questo la maggioranza renderebbe un servizio alla buona politica se si assumesse l'onere di affrontare il problema. Il patto di legislatura, in quel caso, acquisterebbe un profilo strategico e addirittura coinvolgerebbe, in qualche misura, il centrosinistra. Sarebbe un esempio di quella coesione nazionale a cui fa spesso riferimento il capo dello stato e sulla quale si è pronunciato pochi gorni fa anche il ministro dell'Economia. Tremonti parlava di scelte economiche, naturalmente, ma ha evocato un clima, uno stato d'animo politico che può bene adattarsi ad altre decisioni significative.

Ovviamente, come si è detto, è molto difficile, per non dire impossibile, che tutto questo accada. Eppure sarebbe un modo per evitare che la legislatura si concluda in un fallimento. E anzi che tale fallimento si prolunghi nel tempo: un'agonia perniciosa destinata a consumare la credibilità della politica e dei suoi protagonisti. Primo fra tutti Silvio Berlusconi, la cui lunga e per certi versi straordinaria esperienza merita una conclusione più degna.

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