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Londra resta euroscettica ma cerca il compromesso

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:04.

LONDRA - «Un compromesso pragmatico». Vicky Ford eurodeputato conservatore coinvolta nel negoziato per la definizione di compiti e funzioni delle nuove autorità di vigilanza europee, coglie il punto con anglosassone praticità. C'erano da alzare paletti per preservare l'autonomia britannica nella gestione e nel controllo dei propri servizi finanziari e la signora Ford, per nome e per conto del suo partito oggi al governo, si sente tranquilla. Ora si tratterà di trovare un analogo punto di incontro anche per la direttiva su hedge fund e fondi di private equity ancora al centro del negoziato europeo e in attesa del voto nella secondo metà di settembre.

Vista da Londra e soprattutto dal ridotto dei Tory, arrivati a Downing street nelle ore in cui cresceva l'accelerazione dell'Unione su vigilanza e regole, è in corso un'offensiva a tutto campo capace di scuotere un'industria, quella finanziaria, che rappresenta circa il 7% del pil britannico. Il sospetto verso Bruxelles non tramonta, quindi, nonostante il modello bancario anglosassone sia uscito provato dalla crisi del credito. Di questo sentimento continua a farsi portavoce Open Europe, il think tank britannico che denuncia ogni deriva paneuropea inglese e del settore finanziario in particolare. «I tre organismi di vigilanza per banche, assicurazioni, mercati spostano il baricentro – ha commentato Mats Persson, direttore di un istituto che vanta fra i supporter top manager, dal ceo di Marks & Spencer, ai presidenti di Sainsbury e Jardine Matheson – dal fronte nazionale a quello europeo. Una volta insediati tenderanno ad espandere i propri poteri e l'aritmetica del voto lascerà Londra in una posizione di straordinaria debolezza esponendo la City a interventi di paesi che non condividono lo stesso approccio verso i mercati». Tesi che Vicky Ford respinge ricordando che «la responsabilità primaria» continuerà a restare a governi e autorità nazionali.

Il timore dei più euroscettici, forza ancora straordinariamente potente all'interno del partito di governo e nella City, è che si stia innescando una dinamica evolutiva capace, lentamente, di strappare a Londra autonomia decisionale e primato in un settore economico che resta il cuore della crescita e dello sviluppo britannico. Il test finale sarà la direttiva sugli hedge fund ovvero le misure per regolamentare un settore che ha a Londra l'80% delle proprie attività europee. Un business che secondo Open Europe vale almeno 1,2 miliardi di sterline all'anno.

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Tags Correlati: Aima | Comitato Esecutivo | George Osborne | Jardine Matheson | Londra | Marks & Spencer | Mats Persson | Open Europe | Partito Conservatore inglese | Pil | Sainsbury | Vicky Ford

 

L'opposizione britannica alle direttive risale al governo laburista che per mesi ha rinviato il braccio di ferro con i partner per poi lasciare il dossier al nuovo esecutivo. Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha avuto un margine di manovra ridottissimo e ora il pacchetto di misure per regolamentare l'industria finanziaria più insofferente ai lacci normativi è al centro della trattativa finale a tre fra Commissione, Consiglio e Parlamento. «Ci aspettiamo – ha commentato un portavoce dell'Aima – che vada al voto dei parlamentari dopo il 20 settembre. Significherà infatti che il punto di compromesso finale è stato trovato, solo allora ritornerà in Consiglio per la ratifica formale. Altrimenti tutto slitterà ancora».

Londra sa che potrà solo limitare i danni rispetto agli obiettivi che si era posta inizialmente e, d'ora in avanti, probabilmente, seguirà il consiglio di Open Europe che da mesi invita i Tory a trovare alleanze con altri paesi guidati da governi fortemente euroscettici.

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