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La nostra bolletta resta salata

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:08.


Le imprese italiane pagano salatissima la corrente elettrica. La bolletta italiana per i consumatori industriali è sul podio (negativo) che raggruppa quelle più pesanti d'Europa: si colloca nella posizione poco desiderabile di medaglia di bronzo, alle spalle di Cipro (il paese più caro d'Europa) e della Slovacchia. Sono dati dell'Eurostat diffusi a fine maggio e relativi alla seconda metà del 2009. L'Italia è nella posizione delle bollette più superbe non solamente per le tariffe industriali ma anche per le famiglie, alle spalle della carissima Danimarca e della salata Germania.
«Sebbene il mercato elettrico italiano abbia raggiunto un livello di concorrenza buono – protesta Massimo Protti, imprenditore milanese e presidente del "tavolo della domanda di energia" della Confindustria (che rappresenta i consumatori industriali) – continuiamo a scontare un divario di prezzo con il resto dell'Ue che penalizza le imprese consumatrici di energia».
Se lo chiedeva non a caso Anne Lauvergeon sul Sole 24 Ore del 5 settembre: «Il problema del vostro paese – diceva l'amministratrice delegata della francese Areva, il colosso della tecnologia nucleare che ha inventato i nuovi reattori Epr – è il costo dell'energia elettrica. Com'è possibile essere competitivi con tali tariffe?»
Sui costi delle bollette industriali ha un effetto, ovviamente, la tecnologia predominante delle centrali elettriche adottate da ciascun paese. L'Italia brucia soprattutto il caro (ma efficiente) metano.
Il ricorso a combustibili a basso costo (il carbone o l'idroelettrico, ma anche l'energia atomica) contribuisce a moderare i prezzi della corrente. Ma non sempre il combustibile usato è sufficiente a fare scendere le tariffe. Sui costi pagati dai consumatori hanno effetto anche il mercato e la competizione, pesano le voci che costituiscono la fattura elettrica, hanno conseguenze le scelte di politica energetica dei singoli governi.
Ciò è evidente nel caso della Danimarca. Il paese non ha centrali atomiche ma conta su grandi ed economiche centrali a carbone. Perché secondo l'Eurostat ha le bollette più alte d'Europa per le famiglie? Semplice. Perché metà del prezzo è rappresentato da tasse orgogliose e da un'Iva strabiliante.

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Tags Correlati: Anne Lauvergeon | Areva | Cip6 | Confindustria | Danimarca | Eurostat | Germania | Italia | Massimo Protti | Prezzi e tariffe | Slovacchia

 

Qualche altro esempio. Secondo l'Eurostat la Slovacchia ha bollette industriali più care di quelle italiane. Eppure la Slovacchia – stando alle rilevazioni dell'Agenzia internazionale dell'energia – basa la sua corrente elettrica sull'energia nucleare, fa molto ricorso alle centrali idroelettriche a basso costo e vi operano società elettriche sensibili alla competizione sui prezzi.Ma ciò non è sufficiente. Lo stesso vale per paesi salati per le imprese consumatrici come Ungheria, Spagna e Germania, che fanno ricorso generoso a carbone e nucleare. Al tempo stesso paesi senza centrali atomiche (come Grecia o Portogallo) hanno prezzi elettrici sotto la media.
La tecnologia adottata, cioè, conta ma può non essere determinante. Non a caso sulla bolletta italiana hanno un peso rilevante il sovraccosto dovuto ai nodi dell'alta tensione (per porvi rimedio Terna è impegnata con un piano di investimenti rilevante) e alcuni incentivi come il cosiddetto Cip6.
«Attendiamo il 2011 con speranza di flessione – aggiunge Protti – anche se abbiamo visto che ad agosto il prezzo unico nazionale alla borsa elettrica ha segnato stranamente livelli uguali a quelli di luglio, e il 2011 ha una scarsa volatilità con prezzi che non rispecchiano i sottostanti».
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