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La tela di Pd e Udc sulla legge elettorale

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:25.

Il giorno dopo il discorso di Mirabello, è Torino che esulta e comincia a sperare, davvero, nella fine del berlusconismo. Lo strappo di Gianfranco Fini maturato appena ventiquattr'ore prima rianima la festa del Pd e il suo popolo, nonostante la notizia dell'uccisione del sindaco di Pollica e un cielo grigio che appanna il pomeriggio. Non ci sono le vuvuzelas di Mirabello ma erano in tanti sotto il tendone di piazza Castello a voler sentire cosa accade ora dai due protagonisti del palco di ieri: Enrico Letta e Pier Ferdinando Casini. E loro sulla fine di Silvio Berlusconi ci hanno scommesso.


«Chissà come verrà accolto», aveva detto in mattinata Roberto Rao, deputato dell'Udc e fedelissimo del leader, scendendo dall'aereo che li aveva portati a Torino. Ancora recenti erano i fischi a Franco Marini e più amari quelli riservati a Renato Schifani. E invece per Casini sono stati subito applausi. Jeans e camicia bianca, una giacca blu, il leader centrista arriva sul palco stringendo e alzando la mano con Enrico Letta, come fossero già un team. E subito, senza giri di parole, sono tornati a Mirabello percorrendo quel varco aperto da Fini solo il giono prima.

Un varco che si chiama legge elettorale. Perché il presidente della Camera parlava a Pd e Udc quando ha messo sul tavolo il tema del cambiamento della legge elettorale, un'aberrazione che «toglie ai cittadini il diritto di scelta dei parlamentari». Una porta aperta alle opposizioni per dare uno stop al voto anticipato: così l'hanno letto sia Casini che Letta. «Se Berlusconi ha la maggioranza vada avanti, altrimenti si dimetta. Ma se lo fa non è lui a indire le elezioni. Fini ha detto che questa legge elettorale è una porcheria. Quindi se si aprirà la crisi il tema sarà sul tappeto». Così parlava il leader dell'Udc e quello che diceva il vicesegretario del Pd è stato perfino più esplicito: «Secondo me da Mirabello è arrivato un segnale importante sul tema della legge elettorale e quindi io penso che il discorso di Fini allontani le elezioni anticipate. Per cambiare la legge va trovata la maggioranza in parlamento e la posizione di Fini è interessante».

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Tags Correlati: Elezioni | Francesco Rutelli | Franco Marini | Gianfranco Fini | Mirabello | PD | Pier Ferdinando Casini | Radio24 | Roberto Rao | Silvio Berlusconi | Torino | Udc | Walter Veltroni

 

Quello che manca ora è solo l'ultimo atto. Quello su cui sia Casini che Letta sembrano scommettere dopo lo strappo di Mirabello: le dimissioni del premier. «I giochi si aprono solo dopo», diceva il vicesegretario Pd che ha avuto un coraggio in più: quello di mettere sul piatto anche una richiesta di divorzio da Antonio Di Pietro. E lo ha fatto davanti a una plaea tutt'altro che ostile verso l'ex Pm che però lo ha più applaudito che contestato. «Siamo incompatibili con chi giustifica i fischi a Schifani» ha detto Letta e ha rincarato: «Consiglio a tutti di leggere Feltri, che spara contro Fini ed esalta Bossi, La Russa e Di Pietro. Basta questo per spiegare chi per loro è amico».

L'operazione anti-Di Pietro, anche questa, è stata fatta "in stereo" con Casini. «Se dovessi andare al voto domani – diceva il leader Udc – andrei da solo perchè il Pd mi deve spiegare se sta o no con Di Pietro che è un serio ostacolo all'alternativa. È anche colpa sua se abbiamo perso in Piemonte». Nel Pd questo divorzio è tutt'altro che scontato. Lo sa Letta che già da oggi attende il fuoco di fila di un pezzo del suo partito. Più ottimista è stato sul Piemonte dove sogna «Chiamparino al posto di Cota» mentre ha scelto la prudenza sui modelli elettorali. Mentre Casini ribadiva la sua scomessa sul proporzionale alla tedesca – dando una stilettata alle ostinazioni, passate e presenti, di Veltroni – Letta si è spinto solo fino all'abolizione del premio di maggioranza.

Troppo prematuro il dettaglio. Del resto anche ai finiani per ora basta dire ciò che è popolare: ossia, che va ripristinato, con le preferenze o i collegi uninominali, il diritto dei cittadini a scegliersi i parlamentari. L'ultimo gesto di bon ton verso Fini arriva in serata da Francesco Rutelli che a Radio 24 rivela: «Nel '93, ai tempi della sfida per il sindaco di Roma, mi arrivarono dossier contro di lui ma li cestina». Ma a quei tempi i rapporti tra Fini e il Cavaliere erano diversi e quei dossier li avrebbe cestinati pure Il Giornale.

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