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Quei giocattoli fra le sbarre: a Roma una mostra racconta la vita dei bambini che vivono in carcere

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2010 alle ore 17:09.

Ci voleva uno sguardo saggio e per questo ironico come quello di Vittorio de Sica per raccontare la vita delle donne in carcere come una commedia. Ma oggi, su quel "tene 'a panza" che in "Ieri, oggi e domani" la gente dei quartieri spagnoli gridava dietro i passi inciabattati di Sofia Loren-Adelina, sarebbe difficile ridere.

E lo sarebbe ancora di più pensando soprattutto ai loro bambini, costretti a vivere dietro le sbarre magari a pochi mesi di vita e a muovere i loro primi passi in un ambiente dove un bimbo "normale" non dovrebbe mai mettere piede per gioco. Come tutto ciò che vive e succede in carcere, quelle storie difficilmente escono dalle alte mura. Ma a volte capitano occasioni che le liberano, facendole scorrere nella vita di chi sta fuori: ecco allora la mostra "Che ci faccio io qui?", aperta da domani a Roma nella sede del Comune, in Piazza Campitelli, e che racconta per immagini la vita dei 56 bambini che oggi vivono reclusi con le loro madri nelle carceri del paese, fra giochi di fortuna, mura alte e poco colorate, lunghi pomeriggi di fronte alla tv e lettini negli angoli delle stanze.

Scorci di vite nascoste scattati da cinque noti fotografi - Marcello Bonfanti, Francesco Cocco, Luigi Gariglio, Mikheal Subotzky e Riccardo Venturi - che hanno seguito con le loro macchine la vita di quelle microfamiglie in altrettanti penitenziari femminili, Rebibbia a Roma, il Bellizzi di Avellino, San Vittore a Milano, Lo Russo e Cotugno di Torino e la Giudecca di Venezia.

C'è anche il nome e l'esperienza di Contrasto dietro questo evento, nato però già tre anni fa da un'idea dell'associazione "A Roma, insieme", che dal 1994 prova a far vivere a quei bimbi una vita più normale possibile. Sono una ventina i piccoli da 0 a 3 anni che oggi vivono nel carcere romano. Dopo quell'età, anche se le madri vi restano, loro ne escono, per vivere in famiglie o istituti.

Quella dei 120 volontari di "A Roma, insieme" è una storia di piccole e importanti conquiste: «Abbiamo ottenuto che i bimbi potessero andare all'asilo nido comunale e stare insieme a tutti gli altri bambini - spiega Leda Colombini, ex parlamentare e presidente dell'associazione – Ogni mattina alle 8.30 arriva un pulmino che li conduce al nido e li riporta dalle madri alle 16.30. Poi, organizziamo anche corsi di musicoterapia e arteterapia e incontri periodici fra le madri e alcuni esperti che spiegano loro come prendersi cura dei figli e la loro situazione giudiziaria». E poi da anni ogni sabato i volontari, fra cui anche studenti univeristari, portano i bambini in gita: «Quest'anno siamo stati anche nella tenuta del Presidente della Repubblica a Castel Porziano», continua Colombini.

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Francesco Cocco | Luigi Gariglio | Marcello Bonfanti | Mikheal Subotzky | Milano | Mostre | Riccardo Venturi | Roma | S. Rita | Sofia Loren

 

«Lo facciamo noi perché purtroppo nelle carceri manca il personale specializzato per prendersi cura delle madri e dei loro figli. La verità è che se un bambino vive in carcere rischia di portarsi dietro traumi dei quali non si libererà mai. Esistono esperimenti interessanti di detenzione alternativa, come l'Icam di Milano, dove per esempio la polizia giudiziaria non indossa la divisa e le sbarre alle finestre sono come quelle che si trovano ai primi piani delle case di città. Ma bisogna pensare a forme ancora diverse, soprattutto per le madri non sottoposte a regime di carcere duro».

Fra le madri detenute le italiane non ci sono, o sono pochissime. La grande maggioranza è fatta da donne rom e da straniere che, come stabilisce la legge Bossi-Fini, una volta scontata la pena devono essere espulse. «Non è giusto – dice Colombini – che non si tenga conto del percorso formativo che una donna compie durante la sua detenzione, del fatto che i loro bimbi hanno trovato stabilità e serenità. È persino capitato che una madre sia stata rispedita in Nigeria mentre suo figlio è rimasto qui, al nido».

Ma visto che è stata proprio l'associazione a fornire una bella ispirazione alla cosiddetta "legge Finocchiaro", la prima che nel 2001 ha stabilito le modalità della vita delle madri in carcere, le speranze di avere una voce in capitolo anche sulle prossime leggi sono forti: «Casualmente, proprio oggi, nel giorno in cui la mostra viene presentata, la Commissione Giustizia della Camera sta per discutere proposte di legge su questo tema. Da parte nostra vorremmo che l'espulsione non fosse indiscriminata, ma che il giudice possa decidere caso per caso quando applicarla». Il percorso sembra lungo, basti pensare che non esiste neppure un Garante nazionale, ma solo casi locali e a volte poco coordinati fra loro. Dietro le sbarre le conquiste fanno fatica ad arrivare. Ma alla fine, magari con la forma di una gita al mare o di un libro colorato e morbido, arrivano.

"Che ci faccio io qui? I bambini nelle carceri italiane", sala S. Rita, Via Montanara 8, Roma. La mostra sarà aperta fino al 29 settembre. Orario: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 18. Ingresso gratuito. Per informazioni 060608
www.salasantarita.culturaroma.it

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