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«Fermate il pastore che vuole bruciare il Corano». Ma il sindaco di New York Bloomberg lo difende

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 08:02.

NEW YORK - «L'errore è del sindaco Michael Bloomberg», dice Paul Berman appoggiando sul tavolo un bicchiere di Pouilly Fuisse. «Doveva capire le implicazioni politiche del progetto di costruire una moschea e un centro islamico vicino a Ground Zero e trovare una scusa. Ritardare. Ha sbagliato». Una cena a New York in questi giorni di polemiche anti-islamiche e di preparazione per il nono anniversario dell'attacco dell'11 settembre può spiegare meglio di ogni sondaggio perché la maggioranza dei newyorchesi è contraria alla costruzione della Moschea a pochi isolati da Ground Zero. E forse spiega perché il sindaco Michael Bloomberg, favorevole alla Moschea, ieri, per coerenza e per giustificarsi, è invece passato all'estremo opposto quando ha detto che «è nel diritto costituzionale del reverendo Terry Jones bruciare pubblicamente il Corano in occasione della ricorrenza dell'11 settembre».

Il pastore protestante sabato intende bruciare copie del Corano davanti alla sua piccola chiesa in Florida per ricordare le vittime dell'11 settembre. Un proposito che preoccupa Casa Bianca e mondo intero per le reazioni che potrebbe provocare sui fronti di guerra e nei paesi musulmani. Ieri si sono moltiplicati gli appelli perché il reverendo faccia marcia indietro: il Vaticano, il segretario al Pentagono Hillary Clinton, quello alla Difesa Robert Gates, il segretario generale Ban Ki-moon.

La polemica dunque, è il caso di dirlo, si infiamma. La cena è ristretta, una ventina di persone in casa di Bob Rosenkrantz, maggior azionista del gruppo assicurativo Delphi. Al suo tavolo, oltre a Berman, scrittore, autore fra l'altro di Terror and Liberalism c'erano anche banchieri come Jeffrey Rosen, numero due Lazard Freres e intellettuali come lo storico britannico Andrew Roberts. «Ci sono i diritti, c'è la politica e c'è la provocazione – osserva Roberts - un gruppo di giapponesi americani avrebbe potuto chiedere di costruire un centro culturale nipponico vicino a Pearl Harbour nove anni dopo l'attacco. Certo, sarebbe stato nel loro diritto, ma forse non nel loro interesse. E non voglio immaginare la reazione dell'opinione pubblica americana se un caso simile si fosse verificato. Sono contrario alla costruzione del centro».

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Tags Correlati: Ban Ki-moon | Bob Rosenkrantz | Chiesa cattolica | David Saperstein | Delphi | Hillary Clinton | Jeffrey Rosen | Lazard Freres | Michael Bloomberg | New York Bloomberg | Partecipazioni societarie | Robert Gates | Stati Uniti d'America

 

La posizione di Berman è ancora più interessante perché rispetto allo scorso 5 agosto quando scrisse un editoriale sul New York Times è cambiata da neutrale a decisamente critica: «La questione è diventata politica, inoltre chi c'è dietro questo progetto? Chi lo finanzia? Non è chiaro». Ecco perché, al di là dei politici, degli scrittori e degli storici, l'altro ieri sono anche scesi in campo una cinquantina di leader cristiani, ebrei e musulumani a cercare di gettare acqua sul fuoco. Hanno convocato un "summit di emergenza" a Washington per inviare un messaggio conciliatorio contro il «furore anti-Islam» e le guerre religiose. «Questa non è l'America, guardiamo oltre pensiamo alle radici comuni» ha detto il cardinale Theodore E.McCarrick, arcivescovo emerito della diocesi di Washington. «Noi sappiamo cosa vuole dire essere attaccati fisicamente, o verbalmente, con gli altri che restavano in silenzio. Questo non può succedere qui in America nel 2010» ha detto il rabbino David Saperstein. E il reverendo Richard Cizik, presidente della New evangelical partnership for the common good ha aggiunto: «A quelli che praticano la derisione, il rifiuto aperto dei nostri concittadini americani di diversa religione, io dico, vergonatevi». Nel comunicato finale ci si riferisce alla «derisione, disinformazione e alla pura bigotteria» contro i muslmani americani. Sia per la polemica contro la moschea che per il rogo del Corano promesso per sabato nel nono anniversario dell'attacco dell'11 settembre dal reverendo Jones a Gainsville, in Florida, dove ha sede la sua chiesa, la Dove World Outreach Center, il Centro delle colombe per abbracciare il mondo. Altrochè colombe, hanno detto i religiosi a Washington, guai a bruciare il Corano: «Siamo sconcertati da questa mancanza di rispetto per un testo sacro che ha plasmato molte delle grandi culture mondiali».

E Bloomberg? Dove si colloca con questa sua uscita provocatoria di ieri, pro falò? Intendiamoci, strettamente parlando il sindaco di New York ha ragione nel tutelare i diritti costituzionali di Jones a bruciare il Corano: «Può sembrare curioso, ma sono qui per difendere il suo diritto di farlo. Premetto, è un gesto di cattivo gusto. Non piacerebbe a nessuno vedere al rogo un testo che lui considera sacro per la sua religione. Ma il primo emendamento della Costituzione protegge tutti» ha detto Bloomberg nella sua conferenza stampa settimanale «e non si può dire che possiamo applicare il primo emendamento solo ai casi con cui ci troviamo d'accordo».

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