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Chi era, che cosa ha fatto e che cosa andava davvero cercando l'avvocato Giorgio Ambrosoli

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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2010 alle ore 20:02.

«Io la volevo salvare ma da questo momento non la salvo più perché lei è degno solo di morire ammazzato come un cornuto, perché lei è un cornuto e bastardo». Fa venire i brividi la registrazione dell'ultima telefonata tra Giorgio Ambrosoli e il suo killer William J. Aricò. È il 12 gennaio del 1979. Esattamente sei mesi dopo, alla mezzanotte dell'11 giugno 1979, i due si incontreranno per la prima e l'ultima volta. «È lei il signor Ambrosoli», chiede Aricò all'avvocato che sta rincasando. «Si risponde lui». «Mi scusi signor Ambrosoli», dice lui prima di eplodere tre colpi con la sua 357 magnum.

Per capire le ragioni di questo assassinio bisogna tornare indietro di cinque anni. Al settembre del 1974 quando il governatore della Banca d'Italia Guido Carli affida all'avvocato milanese l'incarico di commissario liquidatore della Banca privata italiana. L'istituto di credito che fa capo a Michele Sindona era nato appena due mesi prima, in un estremo tentativo di salvataggio, dalla fusione della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria. Il 27 settembre 1974 viene dichiarato insolvente. Il buco accertato è di 274 miliardi di lire, ma la bancarotta dell' intero gruppo che a Sindona faceva capo aggira intorno ai mille miliardi.

Fare luce su questa vicenda è il compito dell'avvocato milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. È chiaro fin da subito che non è una passeggiata. Non tanto per la difficoltà di orientarsi nel mare di carte e documenti contabili. Quanto perché bisogna resistere alle pressioni dei poteri forti che sono legati all'ex commercialista di Patti.

Sindona può vantare amicizie molto influenti in tutti gli ambienti che contano: dal Vaticano (uno tra tutti il controverso monsignor Paul Marcinkus che guida lo Ior) alla massoneria deviata (Licio Gelli e la P2). Dalla criminalità organizzata: in Italia e negli Stati Uniti alla politica. Soprattutto la Democrazia cristiana e il suo uomo forte: Giulio Andreotti. Durante un ricevimento al Saint Regis di New York quest'ultimo arriverà a definirlo «salvatore della lira».

Ambrosoli però non si piega. Scartabellando le carte arriva a ricostruire la ragnatela di affari che girano intorno a Michele Sindona. Scopre che dietro il crack l'impero del banchiere siciliano, per anni osannato in Italia e negli Stati Uniti (Time gli dedica persino una copertina ndr.), ci sono strani traffici e operazioni illegali.

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Tags Correlati: Banca d'Italia | Banca Privata Finanziaria | Banca Vaticana | Borsa di Milano | Enrico Cuccia | Giorgio Ambrosoli | Giulio Andreotti | Giustizia | Guido Carli | La Sette | Licio Gelli | Loggia P2 | Michele Sindona | Mino Pecorelli | Radio24 | Stati Uniti d'America

 

In un'intervista rilasciata alla Rai, lo stesso avvocato spiega con chiarezza alcuni aspetti del funzionamento del sistema Sindona. «I soldi dei risparmiatori italiani vengono utilizzati al soprattutto allo scopo di finanziare l'attività del gruppo. Con il sistema delle cosiddette "operazioni fiduciarie" vengono girati su conti correnti di banche estere, a cui viene dato il compito di girarli a società "di comodo" riconducibili al gruppo Sindona». È il sistema delle scatole cinesi che farà scuola tra tanti capitalisti (o pseudo tali) del Belpaese.

Ci sono anche operazioni poco chiare a Piazza Affari. L'enorme liquidità a disposizione del banchiere viene usata per gonfiare artificialmente il valore delle azioni delle banche di Sindona, oltre che delle società da lui partecipate per ottenere illecite plusvalenze. Per non parlare delle spericolate speculazioni sulle valute e sulle commodities. L'ex commercialista è un precursore in quelle acrobazie finanziarie che oggi conosciamo bene (anche dalle vicende della banca privata italiana - ricorda il figlio di Ambrosoli Umberto in un intervista a Radio24 - è nata l'esigenza di approvare una legislzaione comune a livello internazionale su questi temi).

Più Ambrosoli va avanti con il suo lavoro, più si intensificano le pressioni su di lui. Sindona mette in campo tutte le sue conoscenze perché si arrivi a un salvataggio della sua banca (con i soldi dei contribuenti). Il suo referente numero uno è il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, cui Sindona, attraverso intermediari, chiede di intercedere presso la Banca d'Italia. Il senatore a vita stesso non nega di aver ricevuto queste richieste, ma dice di aver sempre rifiutato di esaudirle.

Di diverso avviso l'ex maresciallo della Guardia di finanza Silvio Novembre. Al processo che vedeva imputato il senatore a vita come mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli dichiarò: «All'avvocato Ambrosoli venne riferito che la persona più interessata a salvare la Banca privata era l'onorevole Andreotti: era lui che patrocinava i tentativi di salvataggio. Glielo dissero sia l'avvocato Guzzi, difensore di Sindona, sia l'ingegner Federici, amministratore anziano del Banco di Roma. E fra il '78 e il '79 anche il genero di Sindona, Piersandro Magnoni, gli disse che dietro i tentativi c'erano Andreotti e Fanfani».

Il nome di Andreotti salta fuori anche quando, a partire dal 1978, iniziano le telefonate con le minacce di morte. In una delle chiamate registrate il killer William J. Aricò dice ad Ambrosoli che il presidente del Consiglio lo ritiene colpevole del mancato salvataggio della banca. La risposta dell'avvocato è ironica: «Io cosa ci posso fare, telefono al presidente del Consiglio: "guardi che lei si sbaglia"». La successiva chiamata sarà quella in cui Aricò condanna definitivamente a morte l'avvocato milanese.

«Dopo la morte di Ambrosoli - ricorda a Radio 24 Gherardo Colombo che fu giudice istruttore nell'inchiesta per l'omicidio dell'avvocato - per la precisione venti giorni dopo, nell'agosto del 1979, Michele Sindona organizzò dagli Stati Uniti un finto sequestro organizzato da un gruppo di terroristi. In realtà, accompagnato da mafiosi e massoni, si nascose clandestinamente in Sicilia dove rimase per due mesi incontrando i personaggi più di spicco della mafia italiana e italoamericana».

Per Antonello Piroso, giornalista de La7, che alla storia di Ambrosoli ha dedicato un monologo che andrà in onda prima serata domenica prossima, «solo chi non conosce la storia dell'omicidio» può stupirsi della frase del senatore Andreotti («Ambrosoli se l'andava cercando»). «Quando l`avvocato Guzzi, legale di Sindona, disse ad Andreotti che Ambrosoli ed Enrico Cuccia erano stati minacciati di morte, annotò sul suo diario: "da Andreotti nessuna reazione". Non solo - aggiunge - anche Andreotti teneva un diario: ebbene, lui che pure vi annotava particolari quali l'ordine di arrivo di una corsa ippica alle Capannelle, il giorno in cui si sparse la notizia dell'omicidio di Ambrosoli, scrisse una sola frase: "Oggi ho incontrato il presidente della Tanzania, Nyerere". Solo quelle parole, e nient`altro. Ogni altro commento, a questo punto, sarebbe superfluo».

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