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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2010 alle ore 08:07.
MILANO
Difesa rocciosa, quella degli italiani in lotta con la concorrenza sleale, soprattutto asiatica. Difesa che dà frutti. Sofferti, alla fine, i risultati arrivano: il 20% delle attività d'impresa comunitarie presidiate da una misura antidumping è italiano.
In un solo anno, nel 2008, rivelano stime del ministero dello Sviluppo economico, la difesa dei nostri prodotti è stata quantificata in 21 miliardi di euro, e più di 100mila i posti di lavoro salvati.
La Cina, suo malgrado, è l'imputato eccellente, ha collezionato una quarantina di misure antidumping sui prodotti più svariati, dalle vergelle ai tubi senza saldatura, ai fili e trefoli, alla viteria e bulloneria, candele, tubi saldati (ma sui tubi sono cascati anche Bielorussia, Thailandia e Ucraina).
Incrocia le dita, Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica e non demorde: prima dell'estate Bruxelles ha aperto un dossier a difesa della produzione di piastrelle europee.
«Con la nostra richiesta – premette Manfredini – abbiamo dato un segnale forte, la Commissione europea ha avviato una procedura di antidumping sull'import di piastrelle cinesi che potrebbe preludere all'introduzione di dazi. Non dimentichiamolo, il mercato europeo vale un miliardo di euro, per la metà made in Italy. Speriamo bene».
A gennaio i produttori di calzature hanno incassato una proroga di due anni sui dazi all'import di scarpe da Cina e Vietnam. Vito Artioli, presidente di Anci e dell'associazione europea di settore, non ha nemmeno avuto il tempo di brindare che i cinesi hanno fatto appello al Wto. E fortuna che il ricorso non sospende la misura.
C'è attesa anche sull'esito della proposta di azzerare i dazi per 13 categorie di prodotti tessili e di abbigliamento da Pakistan e (forse, chissà) da Cina e India (si veda Il Sole 24 ore di ieri): «Seguiamo la vicenda con grande attenzione» commenta Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia (Smi) ed ex presidente di Euratex, la Federazione europea degli industriali tessili.
Sandro Bonomi, presidente di Anima, incalza: «Sui compressori cinesi di piccole dimensioni ci abbiamo provato, a ottenere una proroga, ma senza troppa fortuna».
La difesa di viti e bulloni, i cosiddetti fasteners da India e Malesia, d'altro canto ha dato alle aziende della Brianza dei bei grattacapi.