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Il premier: «No a governicchi»

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2010 alle ore 14:11.


ROMA
Il governo va avanti, «abbiamo il dovere di governare». In dieci minuti di collegamento telefonico tra Mosca e la scuola di formazione del Pdl a Gubbio, Silvio Berlusconi ribadisce il concetto diverse volte. La linea ormai è decisa: lavorare al rafforzamento della maggioranza, con l'obiettivo di proseguire nell'azione di governo e «rispettare il mandato degli elettori». E a chi ipotizza governi tecnici, il premier replica a chiare lettere: il Pdl non farà precipitare l'Italia verso una «crisi politica che avrebbe dei risvolti incerti, sospesa tra le ipotesi di elezioni anticipate da un lato e l'ennesimo governicchio tecnico dall'altro».
Berlusconi mette così in chiaro che non sarà il suo partito ad aprire la strada all'instabilità politica. «Bisogna agire con senso di responsabilità», avverte, anche perché «sarebbe un delitto compromettere tutto quello che di positivo e concreto abbiamo fatto». A partire dall'impegno per fare fronte alla crisi economica. «Con la manovra di luglio abbiamo rassicurato i mercati», ma, ricorda il premier, «abbiamo 56 miliardi di titoli da collocare nel mese di settembre e corriamo il rischio di una sfiducia anche parziale sui mercati». In ogni caso, se in Parlamento i numeri venissero a mancare, la strada obbligata sarebbe quella di ridare la parola agli elettori. Dunque nessuna soluzione intermedia o pasticciata.
Berlusconi non chiama in causa direttamente Gianfranco Fini e i finiani, ma è evidente a chi si riferisce quando attacca «gli antiberlusconiani vecchi e nuovi, che insieme alla sinistra pensano solo a produrre chiacchiere e feste di partito». Sarebbe loro la responsabilità di un'eventuale crisi, anche se, assicura «non avranno mai la soddisfazione di vedere precipitare l'Italia». Parole che rieccheggiano nell'avvertimento del ministro degli Esteri Franco Frattini: «Da Fini ci aspettiamo ora lealtà assoluta verso il Pdl e verso la maggioranza. Il presidente del Consiglio è stato molto chiaro: abbiamo il dovere di governare. Chi violerà il patto nella maggioranza pagherà comunque un grave prezzo politico».
Berlusconi ha quindi chiuso la sua telefonata con una sortita, forse nostalgica, che in molti hanno interpretato come una sorta di conferma della dichiarazione di Fini, secondo il quale il Pdl non esiste più. «Non so perché, ma mi viene da dire Forza Italia e forza Milan...».

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Tags Correlati: Camera dei deputati | Casini | Elezioni | Ferrara | FI | Gianfranco Fini | Giorgio Napolitano | Gubbio | Inghilterra | Lega | Milan | PDL | Roberto Calderoli | Silvio Berlusconi | Umberto Bossi

 

Anche la Lega sembra ormai avere definitivamente accettato la linea del premier, dopo avere ipotizzato di arrivare anche all'estremo di non dare la fiducia al governo e tornare a votare, «per un motivo semplice: non stare a chiedere i voti per altri due-tre anni, per non rimanere nelle mani degli altri», come ha spiegato ieri sera Umberto Bossi. Tanto più che lo stesso Bossi ha sottolineato che sia il presidente della Repubblica che Berlusconi «non vogliono le elezioni». Aprendo il suo comizio a Ferrara, nella seconda giornata della festa dei popoli padani, che si conclude oggi a Venezia, il leader del Carroccio ha ironizzato sul presidente della Camera: «Fini dice che la Padania non esiste. Che non esiste Berlusconi. Che non esistiamo noi. Invece esistiamo. E di solito vinciamo le elezioni...». La Lega, ha aggiunto, non è come Fini «che cambia la bandiera. Berlusconi ci ha dato i voti sul federalismo e con chi mantiene la parola noi manteniamo la parola». Se il premier verrà in Aula, «noi voteremo la fiducia». A chi gli ha chiesto se il presidente della Camera sarebbe andato avanti per la sua strada, Bossi ha però detto di sperare di no: «Spero che Fini torni in ginocchio da Berlusconi», prima di assicurare che, comunque, «nonostante tutto, è meglio Fini di Casini». Bossi è tornato poi a parlare del prossimo e controverso obiettivo del Carroccio, dopo il federalismo: il decentramento, con il trasferimento di alcuni ministeri nelle principali città italiane, al Nord come al Sud. «Una questione di democrazia. Perchè tutti i ministeri a Roma? Non può esserci un ministero a Bologna o a Ferrara, come è successo in Inghilterra, dove li hanno tolti da Londra per portarli nelle altre città? Lì non è morto nessuno».
Chi nella Lega resta convinto del rischio che si vada avanti con una maggioranza instabile, legata agli umori di singoli parlamentari è Roberto Calderoli. «La nostra posizione non è cambiata. Se si va avanti con governi forti siamo le persone più felici del mondo, ma non vogliamo che si vada avanti solo perché il governo mangi il panettone». Calderoli ha poi sostenuto che Bossi e Berlusconi andranno al Quirinale per parlare con Giorgio Napolitano «non in merito a maggioranze politiche, ma per una situazione di effettiva difficoltà di funzionamento della Camera dei Deputati». Bossi ha comunque detto che deve ancora parlarne con Berlusconi: «Non posso mica andarci da solo».
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