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Stefano Massei, l'italiano che guida il salvataggio dei "los 33" nella miniera del Cile

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Questo articolo è stato pubblicato il 12 settembre 2010 alle ore 16:21.

Stefano Massei, ingegnere di Pisa, 56 anni, dipendente dell'Enel. Sposato con Patrizia, prof di economia alle superiori; il figlio (Marco) programmatore di computer e la figlia (Laura) attrice e doppiatrice. Vita normale di un ingegnere normale. Massei, nato al livello del mare, è lassù sulle Ande cilene dove l'aria è rarefatta «che quando ho dovuto correre al cantiere per cento metri mi sentivo morire»; il Massei è sopra la miniera bastarda e comanda la trivellazione per salvare i 33 mineros chiusi nella pancia della montagna.

Tra una decina di giorni la sua grande perforatrice – la macchina con cui l'Enel Green Power cercava giacimenti geotermici di acqua bollente per far girare le centrali elettriche cilene – comincerà a rodere le rocce andine. «Quando si trova il giacimento, è un momento esaltante, non saprei come spiegarlo», dice il perforatore pisano. «Ma questa volta non sto andando a bucare un giacimento: sto cercando di raggiungere uomini disperati per portarli fuori».

Le squadre di salvataggio hanno cercato tutte le trivelle possibili. Ne hanno rimediato prima una piccola, per soli pozzi verticali di diametro di 15 pollici, circa 38 centimetri, che da una ventina di giorni scava; poi una grossa perforatrice per fare trivellazioni "diamantine" come sondaggi e rilievi del sottosuolo. Infine la compagnia petrolifera cilena Enap ha messo a disposizione una colossale trivella della Precision Drilling da grandi giacimenti, che per conto della Schlumberger aveva finito di perforare alla ricerca di petrolio e che giaceva abbandonata e mezza smantellata sulla banchina di un porto per essere imbarcata. Mancavano pezzi. I cablaggi non c'erano. Una cosa da piangere.

Così l'Enap ha chiesto alla socia Enel, con la cui controllata LaGeo cerca giacimenti geotermici sulle Ande: come facciamo?
Il Massei si è grattato la testa, come farebbe ogni ingegnere; ha borbottato, come farebbe ogni ingegnere; gli sono tornati i ricordi delle centinaia di trivelle che ha guidato in 30 anni di Enel, le centinaia di perforazioni che ha condotto, in 18 anni passati a Larderello a trapanare l'Appennino e gli anni a sforacchiare il Sud America. Gli è venuta in mente che sarebbe perfetta la perforatrice della LaGeo (partecipata Enel) usata – insieme con le cilene Epa, Eng ed Egp – nella zona del Tàtio, sopra ad Atacama, a circa 150 chilometri dalla miniera sequestratrice. «Mettiamo insieme le due macchine, la nostra darà i pezzi che non ha la perforatrice della Schlumberger», si è illuminato.

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Tags Correlati: America del Sud | Enap | Enel | Green Power | Pisa | Schlumberger | Shell Italia | Stefano Massei |

 

A Massei dicono l'obiettivo da raggiungere, lui stabilisce come arrivarci. «Sono il direttore tecnico ed è toccato a me pensare il progetto. Dare la soluzione. Serve uno scalpello più grande, oltre 90 centimetri. La guida della testa deve essere giroscopica e non a bussola, ché queste masse ferrose di pirite deviano il rilevamento. Una tavola rotante speciale da 94 centimetri, come solamente la nostra trivella. Voglio flange da 110 centimetri. Faremo una perforazione deviata: comincia verticale, e poi io so come far diventare obliquo il pozzo nel sottosuolo».

Non è un pozzo dritto come gli altri, questo. Serve il terreno giusto per una piattaforma grande come un campo di calcio. Bisogna evitare di toccare le gallerie, altrimenti si rischiano altre frane nel sottosuolo. E poi il foro serpeggerà nella pancia della montagna per puntare verso i prigionieri delle Ande. Autore di pubblicazioni scientifiche, Massei era stato chiamato perfino dalla Shell per trivellare in orizzontale.

In questi giorni un altro tecnico della squadra Enel ha condotto i montaggi, lavorando senza sosta anche di notte. La postazione, il piatto di rotazione, i compressori per il fluido di perforazione, i container per le attrezzature. Il colosso sarà pronto tra una settimana.
Due trivelle lavorano da più tempo, ma dovranno passare e ripassare per allargare i loro pozzi strettissimi. «Noi dovremmo farcela con un solo passaggio in appena 35-40 giorni, se la roccia abrasiva non costringerà a cambiare le attrezzature», dice Massei. Chi arriverà prima? «Non è una gara fra trivelle. È una gara per la vita».

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