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Il giro padano, i ciclisti rossi, il judo della fiamma. Tutte le declinazioni dello sport «politico»

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Questo articolo è stato pubblicato il 15 settembre 2010 alle ore 17:04.

Sfrecciavano nelle campagne romagnole dell'estate 1912, pedalando per affermare la lotta di classe e sostenere gli scioperi dei contadini. Il partito socialista li guardava con sospetto, quei "ciclisti rossi", che si unirono in federazione l'anno dopo, mentre quello dopo ancora si misero a usare il nuovo pneumatico "Carlo Marx". Oggi è la Lega Nord che vuole conquistare il cuore dei ciclisti del nord, ai quali propone per 250 euro anche la "bici padana" con cerchi in alluminio da 28", cambio Shimano a 6 rapporti e ovviamente dipinta in "verde Lega".

Ma si tratta di inezie rispetto a quelle grandi macchine da guerra che sono gli organizzati circoli sportivi di partito da migliaia e migliaia di soci, nati nel secondo dopoguerra e ancora oggi prosperi di attività e appassionati, anche se i loro partiti di riferimento sono scomparsi, evoluti oppure diluiti in altri. Prendiamo il caso della Uisp, fondata nel 1948 in un teatro di Roma dai giovani del Fronte della Gioventù per promuovere lo "sport popolare", benedetta dal Pci e capace di diffondersi e radicarsi sul territorio come una caparbia erba selvatica. Al pari di una vera e propria ramificazione del partito, nei cruciali anni fra il 1968 e il 1973 l'Uisp aumentò i suoi iscritti da 65mila a 250mila e triplicò i suoi centri sportivi. E mentre il Muro di Berlino stava per cadere, anticipando quello che avrebbe fatto il Pci, cambiò il suo nome, mantenendo l'acronimo ma con un diverso significato: quello di "Unione Italiana sport per tutti". Oggi la Uisp promuove fra i suoi 1.200.000 soci i punti forti della sinistra del terzo millennio, a partire dai diritti umani fino alla sostenibilità, e vanta 161 comitati regionali e territoriali, 29 leghe e mille circoli con attività di bar e ristoro.

Un po' meno soci – circa 872mila - può vantare invece il centro sportivo nazionale di origine democristiana, il Libertas, fondato proprio da Alcide de Gasperi nel 1945, che ha fornito alla storia dello sport italiano 560 campioni del mondo, olimpici, europei, e a maggio ha inaugurato anche il suo primo campionato nazionale di hip-hop.

È invece specializzato in equitazione e discipline orientali come il judo e il karate il Centro nazionale sportivo Fiamma, fondato anch'esso nel famigerato 1948 da ragazzi della Gioventù Nazionale – fra i quali Raimondo Vianello e suo fratello Roberto, che ne furono anche dirigenti - che ha come simbolo una sincera F scudettata tricolore e che si pregia di aver formato atleti come Gabriella Dorio, Agnese Possamai e Gino Pacitti.

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Ma tutto questo è diciamo lo sport parlamentare, quello istituzionale, che deriva dalla politica e la esprime anche sui campi di calcetto o da pallavolo. C'è poi lo sport che crea un'idea politica, le conferisce plausibilità, sport al limite del folklore che però evita la pericolosa china perché è pur sempre declinazione della millenaria e sacra ritualizzazione del corpo. Un esempio: dal 2008 esiste la nazionale di calcio del Regno delle Due Sicilie, sponsorizzata dal Partito del Sud, con stemma borbonico sulla maglia e con il meridionalista Nicola Zitara come presidente onorario. Quest'anno è stata finalmente ammessa al campionato Viva, quello delle "nazioni senza stato", ma a Malta è stata fermata in semifinale, battuta per due a zero, dalla Padania calcio, che ha come team manager "il trota" Renzo Bossi e che si è aggiudicata così il terzo titolo mondiale consecutivo.

La brava nazionale del Trota è creatura piuttosto recente, inserita in quella che dal 1998 è nota come l'associazione sportiva "Sport Padania", presieduta dal senatore Francesco Tirelli, che promuove chiaramente discipline nordiche come lo sci alpino, che segue le prodezze rallystiche dell'altro figlio di Bossi, Riccardo, ma che venera sommamente il ciclismo («lo sport più faticoso e quindi il più padano degli sport», come scrisse nel 2003 Roberto Calderoli nel 2003 nel libro "Ciclismo padano"), appoggiandosi a decine di associazioni e circoli locali come la "Braveheart Cuore Padano" di Pavia e il "Sole delle Alpi" di Torino.
E i ciclisti rossi? I pronipoti degli ardenti socialisti romagnoli si sono visti l'ultima volta a Milano, per fare propaganda a Rifondazione Comunista in occasione delle elezioni amministrative. In sella a un mix di bici rosse, nere e blu.

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