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L'oro tocca il record a quota 1.277,70 dollari

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:01.

Le previsioni di nuovi traguardi per l'oro si stanno puntualmente verificando sui mercati internazionali, a conferma del parere insolitamente unanime espresso da analisti, finanzieri e chartisti.
Ieri sono state sufficienti le moderate flessioni del dollaro, unite alle indicazioni di rallentamento della produzione industriale americana, per dare impulso alle quotazioni: al bullion market di Londra il metallo si è attestato nel fixing pomeridiano al record assoluto di 1.272,50 dollari per oncia, dopo aver toccato durante la sessione una punta di 1.277,70 dollari.


L'effetto delle oscillazioni valutarie è evidente se si esamina l'andamento dei prezzi in euro, che hanno oscillato intorno a quota 973-975, quindi ben lontani dal record di 1.039,995 €/oz che era stato ottenuto il 7 giugno scorso.
Anche i beni rifugio alternativi si sono mossi nella scia dell'oro: il platino è tornato per la prima volta in due mesi sopra 1.600 dollari, l'argento è volato al fixing a 20,76 dollari, il massimo da due anni e mezzo, mentre il palladio è stato fissato a 554 dollari, la quotazione più alta dall'aprile scorso. Le performances dei metalli preziosi surclassano le borse valori: da inizio anno l'oro ha guadagnato (in dollari) il 15,3%, l'argento il 22,2% e il palladio, sostenuto anche dalla domanda cinese per le marmitte catalitiche, è salito addirittura del 37,8 per cento.

Tutto ciò, anche alla luce delle indicazioni che emergono dal rapporto appena pubblicato dagli analisti del Gfms, è incoraggiante solo per i tesaurizzatori più perseveranti. Per l'economia mondiale invece il grafico dei prezzi dell'oro è una cartina di tornasole il cui responso non può certo tranquillizzare.
A pilotare il metallo verso l'alto infatti sono ancora gli investitori, mossi dalla paura di forti ed erratici movimenti delle valute e dal timore che la stabilità finanziaria di diversi paesi sia ancora molto incerta. Ieri Jonathan Spall sul Financial Times notava che l'oro sta agendo da protezione contro l'assillo dell'inflazione e contemporaneamente anche contro lo spauracchio opposto, la deflazione.

In dieci anni, nota Spall, la quotazione dell'oro si è moltiplicata per cinque. Purtroppo, si può aggiungere, il merito è solo in minima parte da attribuire ai crescenti consumi in gioielleria e nell'industria.

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Tags Correlati: Bank of America Merrill Lynch | Borsa Valori | Fed | Gfms | Gitanjali | Investimenti finanziari | Jonathan Spall | Mehul Choksi |

 

Il Gfms in realtà dice che il primo semestre di quest'anno ha visto un calo del 40% nella domanda degli investitori – 778 tonnellate, contro 1.260 un anno prima – ma promette un balzo a 1.313 nel secondo semestre. Il totale quindi dovrebbe salire a 2.038 tonnellate, il 10,5% in più rispetto al 2009. La gioielleria invece assorbirà 1.819 tonnellate, in crescita solo del 3,5%.

D'altra parte i mercati sono inondati di denaro "facile", come nota anche Bank of America Merrill Lynch. Se il 21 settembre la Fed accentuerà il fenomeno, con un ulteriore allentamento della politica monetaria, la corsa a oro e petrolio potrà ricevere nuove spinte.
Con questi presupposti, non deve stupire che utilizzatori, banche d'affari e case d'analisi abbiano corretto nuovamente verso l'alto le loro proiezioni sui corsi dell'oro. Si oscilla dai 1.300 dollari per oncia previsti (entro un mese) da Ubs e dallo stesso studio di Gfms ai 1.500 dollari di Mehul Choksi, presidente del grande gruppo orafo indiano Gitanjali.
Ma se alcune banche centrali dovessero accelerare l'acquisto di riserve auree, allora anche questi traguardi potrebbero rivelarsi inadeguati. Dopo tutto, il vecchio record di 850 dollari realizzato nel febbraio del 1980 oggi varrebbe, depurato dall'inflazione, almeno 2.250 dollari.
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