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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:06.
ROMA.
L'effetto-Sarkozy, per ora, non c'è stato. Nonostante a Roma siano state viste alcune auto di rom con targa francese. Il timore di arrivi in Piemonte e nella capitale, finora, non trova riscontri. Ma rimane. Anche perché possono aumentare i flussi dalla Romania, dove la crisi economica è più pesante. Le forze di polizia sanno ormai che la materia è prioritaria e stanno in allerta. Di certo per il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, in Italia non c'è «più un'emergenza Rom, in quanto la situazione è stata gestita e governata». Oggi però il titolare del Viminale porta in Consiglio dei ministri una proposta di decreto legge per i rimpatri dei cittadini comunitari (si veda l'articolo in basso), come sono molti nomadi. Sul tema Maroni lavora ormai da due anni, quando si è insediato. Nominò subito tre commissari ad hoc, diventati cinque: i prefetti Gian Valerio Lombardi (Milano), Giuseppe Pecoraro (Roma), Andrea De Martino (Napoli), Alberto Di Pace (Torino) e Luciana Lamorgese (Venezia). L'indicazione del Viminale è di seguire due direttrici: sicurezza e integrazione. All'atto pratico, i prefetti devono mediare tra il ricorso alle forze di polizia - per gli sgomberi, i controlli e gli arresti - e il confronto continuo con le comunità e il resto delle istituzioni e della società. Alla ricerca di ogni soluzione per integrarsi, o quantomeno ridurre al minimo i conflitti sociali. E risolvere le specifiche questioni, spesso complicate. L'annunciato decreto legge, per esempio, nulla potrà contro i circa 2mila nomadi presenti in Veneto, cittadini italiani. Un altro problema è che molti di loro sono pregiudicati - con quote fino al 90% delle presenze complessive - ma gli stessi prefetti-commissari hanno poteri limitati. I rom bosniaci e serbi con precedenti penali, per esempio, non possono essere rimpatriati, perché gli stati di origine non li riconoscono. Il Viminale così ha avviato un confronto con le rispettive ambasciate per trovare una soluzione. C'è poi il lavoro faticoso, a volte estenuante, sui campi di insediamento. Vanno cancellati quelli abusivi, vanno attrezzzati quelli ufficiali. Ogni città ha i suoi problemi. A Roma, con circa 6mila presenze, l'idea è di crearne uno, autorizzato, in ogni municipio di periferia che abbia le aree adatte. Si lavora al nuovo campo attrezzato in località La Barbuta, più un altro con sede ancora top secret. A Milano, dove si è passati da 8-9mila a 3mila nomadi, c'è un impegno continuo a confrontarsi con il volontariato e il terzo settore per trovare alloggi, occupazione, soprattutto istruzione e formazione per bambini e giovani. A Torino la prefettura ha lavorato molto con gli Enti locali, a partire dal Comune, e le tensioni si sono contenute.