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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 20:08.
Sarà perché da docente di giustizia costituzionale è abituato a parlar chiaro, Valerio Onida non le manda a dire nemmeno al suo partito di riferimento. E al Pd, impegnato nella festa cittadina a Milano, a poche settimane dalle primarie (leggi le interviste agli altri candidati, Boeri e Pisapia) in vista delle comunali di primavera, rimprovera un inizio di campagna che «non è dei migliori». Perché «trovo una contraddizione tra l'avere organizzato le primarie e l'avere già scelto il candidato di partito. Se la scelta è stata fatta prima, che senso hanno le primarie?» L'obiezione che gli viene fatta è che si tratta di primarie di coalizione. «Ma misurare i rapporti di forza nel centrosinistra non ha molto senso, si sa che il Pd è il partito più forte», dice Onida. Che precisa come la sua osservazione non abbia alcun senso polemico, è solo «una constatazione dispiaciuta».
È stata la necessità di colmare i rapporti di distacco tra la società milanese e la politica a convincerlo a candidarsi, dietro le pressioni del Comitato Milano riparte. Del resto pochi più di lui possono spendere la propria figura non per l'ambizione di arrivare ad altri ruoli pubblici, ma per «aprire la porta a un processo immediato di formazione di una nuova classe dirigente, favorendo l'emergere di giovani competenti e appassionati all'idea di dare qualcosa alla propria comunità locale. È un valore da trasmettere»
La questione prioritaria per Milano?
«Lavorare per costruire una città da abitare, non solo dove si produce. Perché anche la città deve essere il luogo della comunità. Invece Milano spesso appare ostile, con il traffico caotico, i quartieri degradati, la sensazione che le istituzioni siano vecchie nell'affrontare i problemi. Il tema dell'abitazione è centrale, perché i giovani non riescono a metter su casa per i costi eccessivi»
Su questo a cosa pensa?
«L'Italia putroppo è un paese dove l'edilizia residenziale pubblica è largamente abbandonata. Se si lascia tutto alla spontaneità si costruiscono abitazioni da 20mila euro al metro quadrato, che forse verranno a comperare i giapponesi o i russi. A noi interessa invece di dare casa a chi abita a Milano. Quindi dobbiamo immaginare un sistema di crescita della residenza non lasciato alla spontaneità ma governato. Può essere edizilia pubblica, può essere commerciale, il problema non è quello delle formule. È il fine che interessa: far sì che la crescita edilizia non sia soltanto legata ai metri quadrati da vendere, ma sia invece vincolata alla crescita di un assetto residenziale adeguato alle esigenze della popolazione»