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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 08:05.
«Non faccio politica, mi considero un buon banchiere e cerco di fare ciò che è nell'interesse della mia azienda e dei paesi in cui opero. Posso assicurare che nessuna decisione di UniCredit è stata assunta dietro la benché minima influenza di tipo politico». Nella lunga carriera che lo ha visto ai vertici di UniCredit in quasi quattordici anni, Alessandro Profumo ha sempre sentito l'urgenza di prendere le distanze dalla politica, pur continuando a essere fatalmente attratto dalla politica stessa.
Identificato come campione della classe dirigente liberal, nell'ottobre del 2007 si è recato a votare per le primarie insieme alla moglie Sabina Ratti, candidata nella lista di Rosy Bindi. Anche per questo è stato spesso tirato per la giacchetta dall'entourage politico, ma è pur vero che quando gli amici del centrosinistra gli chiesero conto della decisione di lasciare di botto la poltrona di amministratore del Corriere della Sera lui fece spallucce. Nel suo stile, del resto, talmente sicuro di sè da meritare il soprannome di «Arrogance». Perché il "banchiere mercatista", 53 anni, scuola McKinsey, genovese ma cresciuto a Palermo, grande appassionato di basket, interista sfegatato e innamorato del mare delle Maldive, ha fatto seguire i fatti alle sue convinzioni. Forse per far capire di avere in sommo fastidio salotti buoni e padrinaggi politici.
Tre episodi su tutti: le dimissioni dal consiglio di amministrazione di Rcs Quotidiani nel luglio del 2004, nello stesso momento in cui il presidente di Capitalia Cesare Geronzi entrava nel patto di sindacato del Corriere; l'uscita dall'esecutivo di Mediobanca per evitare il conflitto di interessi tra piazzetta Cuccia e Ubm, banca d'affari di Unicredit; e infine l'uscita dalle Generali, quelle stesse Generali in cui lui stesso si impegnò in prima persona per difenderne l'italianità, giocando da protagonista nella lotta contro Vincenzo Maranghi.
Allergico ai giochi di potere, si diceva. Anche per questo il manager ha preferito fin da subito giocare su una scena di più ampio respiro, quella internazionale dove si è sempre mosso da protagonista. Non è un mistero che sia stata dura piegarlo ad accettare la fusione con Capitalia; fosse stato per lui, la banca guardava dritta a Parigi, a quella Société Générale che sarebbe stata la seconda preda, dopo la tedesca Hvb. Nulla da fare, ha dovuto cedere al matrimonio di "sistema" con Cesare Geronzi, in base alla vecchia regola da cui si è sempre dissociato, secondo cui le azioni si pesano e non si contano.