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Sarkozy: Tobin tax anti-povertà Sarkozy vuole tassare le transazioni finanziarie per sconfiggere la povertà

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 08:01.

NEW YORK - Dei quindici anni iniziali, ne sono rimasti adesso solo cinque per raggiungere gli obiettivi. E come ha detto ieri il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon aprendo il summit sui Millennium Development Goals, «il tempo stringe e c'è ancora molto da fare».
Il problema è che la crisi economica degli ultimi anni sta frenando anziché accelerare gli aiuti dei paesi più ricchi, come necessario. Per questo il presidente francese Nicolas Sarkozy ha colto l'occasione per rilanciare l'idea di una speciale micro-tassa globale sulle transazioni finanziarie. Proposta che Sarkozy si è impegnato a sostenere attivamente nel corso dell'anno prossimo, quando il suo paese avrà la leadership del G-20 e del G-8.
A ruota è arrivato poi anche il sostegno del primo ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero. Ma non sarà facile superare la resistenza delle banche, oltre che di Washington e Londra, alla Tobin tax.

La Dichiarazione del millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000 da 189 stati, prevedeva 8 obiettivi globali, uno più ambizioso dell'altro, a partire dal dimezzamento della povertà più estrema nel mondo e dalla riduzione di due terzi della mortalità infantile per finire con il raggiungimento della sostenibilità ambientale e lo sviluppo di un «partenariato per lo sviluppo».
Ieri 140 capi di Stato da ogni angolo del globo sono venuti a New York per una tre giorni di analisi e valutazioni su quanto è stato fatto finora e quanto no.
La realtà è che, al di là della dichiarazione di intenti del presidente dell'Assemblea generale dell'Onu Joseph Deiss - «dobbiamo raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio, vogliamo raggiungerli e possiamo raggiungerli» - rimane molto scetticismo sulle possibilità di raggiungimento degli obiettivi entro il termine previsto. Ad ammetterlo, usando proprio la parola «scetticismo», è stato lo stesso Ban.

Secondo l'economista americano Jeffrey Sachs, consigliere speciale del Segretario generale dell'Onu per gli Obiettivi del Millenio, il fattore-chiave è l'insufficienza degli aiuti internazionali. Soltanto sul fronte della sanità, per poter far fronte alla sfida, serviranno nel prossimo quinquiennio 40 miliardi di dollari all'anno - pari allo 0,1% del reddito di Usa, Unione Europea, Giappone e Canada messi insieme, quindi in teoria cifra non irraggiungibile. Ma sebbene la Dichiarazione del 2000 abbia contribuito ad aumentare gli aiuti dagli 8 miliardi di quell'anno agli attuali 20, rimane ancora un deficit del 50%. Per questo Sachs non ha esitato ad accusare i maggiori paesi donatori di aver «trascurato le promesse di aiuti fatte, e in particolare il raddoppio degli aiuti all'Africa entro il 2010». In un suo intervento pubblicato in questi giorni dalla rivista inglese Lancet, Sachs ha scritto che «questi paesi da tempo promettono di arrivare a donare lo 0,7% del proprio Pil, ma in realtà continuano a donare solo la metà di quanto promettono».

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Un seppur piccolo segnale positivo su questo fronte è arrivato dallo stesso Sarkozy, che dopo aver invitato il mondo industrializzato a non usare la crisi come scusa per fare e dare di meno, si è impegnato ad aumentare del 20% i contributi del suo paese nella lotta a Aids e malaria.

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