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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2010 alle ore 08:04.
«Se si va da un dottore perché si è seriamente ammalati, e la cura necessaria non può essere inferiore ai due anni, non si pretende che il medico faccia miracoli e risolva tutto in due settimane. Beh, l'economia americana è il malato, il governo Obama è il medico. Chi spinge, adirato e pressante, per una ripresa rapida e un calo della disoccupazione immediato non ha chiare le premesse».
Nelle parole di Michael Spence, premio Nobel dell'economia nel 2001 con Joseph Stiglitz e George Akerlof per uno studio sulle informazioni asimmetriche che alterano il mercato, non ci sono dunque spiragli di ottimismo: l'America ha bisogno di tempo per uscire dalla crisi, più tempo di quanto non si voglia ammettere. E potrà farlo solo attraverso un grande cambiamento strutturale.
Significa che le ultime misure di Obama, i miliardi destinati alle infrastrutture e ai crediti per le imprese, non porteranno a nulla?
Questo genere di stimolo sta perdendo efficacia, non si può spendere più di quanto si guadagna troppo a lungo. Dobbiamo essere preparati al fatto che gli attuali livelli di disoccupazione non scenderanno facilmente e che la disuguaglianza sul fronte dei redditi sarà sempre più netta.
Come vede la scelta dell'amministrazione di lasciar scadere gli sgravi fiscali dell'era Bush per i più ricchi?
Sono favorevole. Quei 700 miliardi che torneranno nelle casse dello stato potranno essere usati per investimenti che aiuteranno l'economia a uscire dal tunnel e favoriranno la ridistribuzione della ricchezza. Dico di più: io non rinnoverei la riduzione delle tasse neanche per il resto della popolazione. I benefici immediati sono poca cosa a fronte dei risultati potenziali di un investimento di tutto quel denaro. Mi riferisco alle ricadute positive sulle prossime generazioni, ma so che è una visione impopolare, e prevarrà una soluzione di compromesso.
Quando parla di investimenti cosa intende?
Siamo in un momento in cui il settore finanziario è sovradimensionato, l'export poco competitivo non è più attenuato dall'eccesso dei consumi interni che negli ultimi 15 anni ha caratterizzato l'economia americana, il deficit pesa come un macigno. Serve un grosso sforzo congiunto pubblico e privato, che sostenga lo sviluppo tecnologico per far tornare gli Stati Uniti competitivi sul fronte commerciale. Del resto il problema non è solo americano ma di tutti i paesi avanzati rispetto a quelli in via di sviluppo, ben più appetibili a livello globale.