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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2010 alle ore 15:17.
«L'intervento di Gianfranco Fini fa emergere ancora una volta una frattura profonda che non promette nulla di buono per il governo del Paese. Si è rotto il patto che teneva insieme la maggioranza».
Anche dopo aver ascoltato la verità del presidente della Camera sulla vicenda della casa di Montecarlo, la linea espressa poche ore prima da Pier Luigi Bersani a Genova al convegno di Confidustria sull'occupazione (si veda pagina 3) non cambia: la crisi è insanabile, non resta che dare la parola al presidente della Repubblica.
«La crisi è evidente, in queste condizioni la destra non garantisce un governo al Paese – ribadisce il leader del Pd –. E di fronte ai gravi problemi che bisogna affrontare non si può più attendere che finisca il gioco del cerino». Poi il riconoscimento a colui che viene percepito nel centro-sinistra come il combattente in prima linea contro Berlusconi e il berlusconismo: «In ogni caso va sottolineato che il presidente della Camera ha mostrato sincerità, annunciando le proprie dimissioni nel caso in cui fossero dimostrate le accuse relative alla casa di Montecarlo su cui c'è ancora molto da chiarire».
Sulla stessa linea le parole di Pier Ferdinando Casini: «Basta veleni, dossier e killeraggi – dice il leader dell'Udc –. Il premier apra una crisi subito e pensi a un governo di responsabilità nazionale confrontandosi anche con Udc e Partito democratico». La priorità di Casini è sempre la legge elettorale: «Se questo governo si dimette nessuno si illuda che non ci sia in Parlamento chi cerca voti per rendere democratica la legge elettorale e affidare ai cittadini la scelta dei parlamentari».
Ma proprio sul governo di transizione si dividono i due leader dell'opposizione. Bersani, infatti, si è convinto che l'acuirsi dello scontro tra Berlusconi e Fini potrebbe portare a un voto politico imminente («stiamo uniti, il governo cadrà la prossima settimana», è il "la" dato dal suo vice Enrico Letta): il segretario del Pd si sta dunque seriamente dedicando al "piano B", le urne appunto, a scapito del "piano A", ossia la proposta di un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. Con quali alleanze? Dal palco di Confindustria l'ex ministro dell'Industria ha voluto rassicurare i "poteri forti": «Non rifarei l'Unione, se c'è da governare non è cosa». E dunque via libera al «modello Marche», rilanciato nelle ultime ore sempre da Letta: lì è stata fatta un'alleanza tra ciò che Bersani chiama nuovo Ulivo (ossia Pd, Idv, Verdi e altre sigle riformiste con l'esclusione della vecchia sinistra radicale) e l'Udc con un presidente Pd di matrice cattolica, Gian Mario Spacca. La riforma fiscale annunciata ieri dal palco confindustriale (spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle famiglie alla rendita finanziaria) potrebbe essere la chiave per convincere l'Udc, oltre naturalmente a un candidato premier moderato e possibilmente cattolico. Resta il veto di Casini nei confronti di Di Pietro: «Il Pd scelga bene i compagni di strada, mai con i giustizialisti».