House Ad
House Ad
 

Notizie USA

Tea party nel mondo. Gli altri movimenti neopopulisti dalla Gran Bretagna al Giappone

Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 19:41.

Il successo del movimento dei Tea Parties scuote gli Stati Uniti e incuriosisce il resto del mondo. Qua e là, in molti paesi cercano di farsi strada emuli degli organizzatori americani di un fenomeno capace di gonfiarsi rapidamente e di turbare i sonni dell'establishment politico (di sinistra e di destra) e di irrompere con successo in molte elezioni primarie del Partito repubblicano. Qualcuno, richiamandosi direttamente all'esperienza dei Tea Parties, cerca di importare pari pari nel proprio paese le parole d'ordine di un reticolo di gruppi che hanno nei temi economici e fiscali la loro primaria ragion d'essere.

I Tea Parties mostrano un profilo in cui si mescolano la sollevazione popolare con il populismo, il conservatorismo di un'America profonda che si percepisce come la parte più genuina del paese con la spinta offerta da un grande network televisivo come Fox, le istanze che nascono nelle periferie degli Stati Uniti con i malumori di alcuni ultraricchi, il libertarismo e il liberismo con un individualismo esasperato che mostra orizzonti isolazionisti e venature di razzismo.

Ma anche partiti e gruppi politici già esistenti cercano di saldare alla propria storia qualche aspetto mutuato dai Tea Parties, di cogliere alcuni suggerimenti operativi oppure di invitare personaggi coinvolti nell'organizzazione del movimento statunitense a raccontare la propria esperienza e a fornire consigli. Così è inevitabile il riferimento al recente fenomeno americano quando in qualche parte del mondo si assiste alla nascita o al successo di movimenti antitassazione, antistatalisti, promotori di un intervento minimo dello Stato nell'economia o anche soltanto propensi a una organizzazione e diffusione dal basso basata più su Twitter e sollevazioni pubbliche che su congressi e mozioni.
La rivista statunitense Foreign Policy ha raccolto un elenco di esperienze politiche in giro per il mondo che profumano di tè. Una ricerca che vale la pena di riprendere e arricchire di ulteriori esempi.

GRAN BRETAGNA
Archiviate, a quasi 237 anni di distanza, le ruggini che portarono all'originario Tea Party nel porto di Boston, anche in Gran Bretagna si sono realizzati alcuni meeting incentrati sull'insofferenza per la pressione fiscale. Lo spontaneo agglutinarsi di cittadini nella lotta anti-tasse ha trovato una sponda politica in alcuni esponenti dei Tories, in primis l'eurodeputato Daniel Hannan. Nel Regno Unito la richiesta per un fisco più light si salda facilmente con le spinte euroscettiche che trovano terreno fecondo in un paese gelosamente affezionato alla propria insularità. Non per nulla Daniel Hannan è noto soprattutto per la sua fiera critica alla rugginosa e costosa burocrazia dell'Unione europea. E non va dimenticato il successo dello United Kingdom Indipendence Party, capace nelle elezioni europee del 2009 di scavalcare anche i laburisti e di diventare il secondo partito più votato dopo i Conservatori. Tra i punti forti del programma dell'Ukip, oltre a un deciso disancoraggio del Regno Unito dal "giogo" europeo, c'è il contenimento della pressione fiscale, la creazione di una flat tax, l'eliminazione delle imposte di successione e consistenti sgravi per le imprese.

L’articolo continua sotto

Tags Correlati: Cina | Daniel Hannan | Europa del Nord | Geert Wilders | Giappone | Gran Bretagna | Gruppo Identità | Klaus Václav | Mogens Glistrup | Olanda | Partiti politici | Partito Comunista | Partito Conservatore inglese | Pia Kjærsgaard | Progresso | Tea Party | Vlaams Belang | Zaitokukai

 

NORVEGIA
Forte del 22 per cento dei voti (e del secondo posto) nelle elezioni politiche del 2009, ma guardato con sospetto dagli altri partiti e tenuto ai margini di possibili alleanze politiche, il Partito del Progresso norvegese, affonda le sue radici proprio nell'opzione anti-tasse sviluppatasi negli anni Settanta nel paese scandinavo. Il Partito del Progresso coniuga attualmente nella prima pagina della propria agenda la richiesta di una virata ultra-restrittiva nelle politiche che regolano l'immigrazione e una proposta sui temi economici che prevede un forte taglio della tassazione, un acceso antistatalismo e un atteggiamento decisamente free market oriented di stampo liberista che cozza con la tradizione norvegese incline alla costruzione di un solido stato sociale. Incuriositi dall'esperienza americana dei Tea Parties, i dirigenti del Partito del Progresso ascoltano la consulenza di alcuni esportatori americani del movimento anti-tasse.

BELGIO
Il controverso partito dell'estrema destra fiamminga Vlaams Belang pone al centro della sua azione il nazionalismo scissionista e l'insofferenza nei confronti dei numerosi immigrati, specie se provenienti dai paesi musulmani. Accanto a queste istanze propagandisticamente più accentuate, però, il Vlaams Belang pone nel suo programma una visione dell'economia che prevede un abbassamento della pressione fiscale, un ampliamento della no tax area e la creazione di una flat tax e promuove, in generale, un atteggiamento con forti venature antistataliste.

OLANDA
Anche in Olanda il Partito della Libertà guidato da Geert Wilders si è guadagnato fama, voti (15,5 per cento nelle elezioni politiche del giugno scorso) e critiche focalizzando il proprio programma sul tema dell'immigrazione. Ma il partito ha puntato anche su altre proposte. Wilders chiede un definitivo stop all'accesso della Turchia nell'Unione europea, la cacciata di Romania e Bulgaria dai Ventisette e ha in genere un atteggiamento di aperta ostilità nei confronti della burocrazia bruxellese, spingendosi fino a proporre l'abolizione del Parlamento di Strasburgo. Wilders manifesta chiaramente anche l'insofferenza per le tasse che i cittadini sono costretti a pagare per il funzionamento dell'Unione europea, soldi che il Partito della libertà vorrebbe fossero spesi in Olanda. Oltre alle sfumature anti-tasse, un altro aspetto avvicina il partito di Wilders ai Tea Parties d'Oltreoceano: la miscela di individualismo e di libertarismo interpretato da destra.

GIAPPONE
In Giappone sono tradizionalmente attivi piccoli gruppi minoritari della destra nazionalista, custodi della grandezza militare del paese, uscita acciaccata dalla Seconda guerra mondiale (e posta sotto l'occhiuta vigilanza dei vincitori), e coltivatori di sogni revanscisti. Accanto a questi gruppi negli ultimi mesi ha ricevuto qualche attenzione per la sua capacità di attirare proseliti il movimento popolare Zaitokukai guidato da un uomo noto soltanto con lo pseudonimo Makoto Sakurai. Questo gruppo di opinione e di protesta manifesta la sua insofferenza per gli stranieri, specie se di provenienza asiatica ma non soltanto. Tra i desideri dei simpatizzanti del movimento Zaitokukai c'è quello di restaurare il rispetto del mondo nei confronti del Giappone, sentimento che a loro parere è andato affievolendosi oltre la soglia di guardia. L'interesse per il tema economico, se non del tutto assente è decisamente in secondo piano, se si eccettua la considerazione che molti agitatori che partecipano alle manifestazioni, spesso sprovvisti di impieghi solidi, percepiscono come una minaccia la concorrenza degli stranieri nel mondo del lavoro. La somiglianza con il Tea Party americano è più che altro nel modus operandi (la rete si mantiene e consolida via Internet e il gruppo si riunisce soltanto per manifestazioni convocate attraverso i social network) ed è sottolineata dallo stesso leader Makoto Sakurai che afferma di aver studiato le performance online del movimento americano.

CINA
Una curiosa categoria individuata dalla rivista americana Foreign Policy è quella dei miliardari-comunisti cinesi. Naturalmente a Pechino è impossibile il formarsi, sul modello del Tea Party, di movimenti d'opinione organizzati che possano prescindere dall'ossequio al Partito comunista che persegue la commistione tra (quasi) libero mercato e ortodossia liturgica al marxismo. Ciò nonostante, i nuovi ultraricchi cinesi si battono per avere le mani libere e perché le imprese non vengano gravate da una politica fiscale che ne possa penalizzare gli introiti. In queste loro istanze trovano una sponda nella classe media di recente apparizione, che non vuole che la propria crescita sociale ed economica sia frenata da politiche che cerchino di supportare lo stato sociale con la creazione di tasse patrimoniali e altre iniziative fiscali.

REPUBBLICA CECA
Quando nelle elezioni del maggio scorso i cittadini cechi hanno votato con un occhio alla scheda elettorale e uno alle notizie sulla crisi greca e hanno premiato i tre partiti del centrodestra (Partito civico democratico; Affari Pubblici; Tradizione Responsabilità Proseprità 09), il Wall Street Journal ha titolato: "The Czech ‘Tea Parties'". In effetti, i partiti conservatori della Repubblica Ceca – accanto all'acceso euroscetticismo incarnato in particolare dal Partito civico democratico del presidente Václav Klaus e diffuso anche in altri paesi dell'Europa orientale – hanno un forte orientamento liberista e hanno guadagnato la fiducia degli elettori promettendo un taglio del welfare, una generale riduzione delle spese statali e un affievolimento della pressione fiscale. In definitiva, si trovano molti ingredienti del Tea Party a stelle e strisce: antistatalismo, sospetto per le burocrazie, liberismo e nessuna fiducia nella bontà di un'alta pressione fiscale.

DANIMARCA
Particolare il caso della Danimarca, in cui un partito distintosi per un'estremistica propaganda antitasse furoreggiò negli anni Settanta, per poi perdere mordente nel decennio successivo e recedere a posizioni testimoniali intorno al 1995. Il Partito del Progresso proponeva di eliminare la tassazione sul reddito e di ridurre del 90 per cento la spesa dello Stato, eliminando quasi tutti i servizi pubblici, annullando le spese per la difesa, rinunciando alle rappresentanze diplomatiche e attuando una serie di altre manovre rivoluzionarie. Il leader e fondatore del partito, Mogens Glistrup, finì addirittura in carcere per evasione fiscale. Benché il Partito del Progresso sia praticamente estinto, una delle sue massime dirigenti è Pia Kjærsgaard, poi fondatrice del Partito del Popolo danese. Questo movimento politico della destra populista, che raccoglie circa il 15 per cento dei voti e offre appoggio esterno al governo, ha al centro della sua agenda la richiesta di politiche severissime sull'immigrazione. Ma, come altri partiti simili del Nord Europa, potrebbe rispolverare anche la battaglia antitassazione che è ben presente nel curriculum politico di Pia Kjærsgaard.

Shopping24

Da non perdere

L'esempio di Baffi e Sarcinelli in tempi «amari»

«Caro direttore, ho letto (casualmente di fila) i suoi ultimi tre memorandum domenicali. Da

L'Europa federale conviene a tutti

Ho partecipato la scorsa settimana a Parigi a un incontro italo francese, dedicato al futuro

Non si può privatizzare la certezza del diritto

In questa stagione elettorale, insieme ad un notevole degrado, non solo lessicale, ma anche di

Le sette criticità per l'economia Usa

Quale futuro si prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale, inevitabilmente

Sull'Ilva non c'è più tempo da perdere

La tensione intorno al caso dell'Ilva non si placa. Anzi, ogni giorno che passa – nonostante i

Casa, la banca non ti dà il mutuo? Allora meglio un affitto con riscatto. Come funziona

Il mercato dei mutui in Italia resta al palo. Nell'ultimo mese la domanda di prestiti ipotecari è


Jeff Bezos primo nella classifica di Fortune «businessperson of the year»

Dai libri alla nuvola informatica: Jeff Bezos, fondatore e amministratore delegato di Amazon,

Iron Dome, come funziona il sistema antimissile israeliano che sta salvando Tel Aviv

Gli sporadici lanci di razzi iraniani Fajr-5 contro Gerusalemme e Tel Aviv costituiscono una

Dagli Assiri all'asteroide gigante del 21/12/2012, storia di tutte le bufale sulla fine del mondo

Fine Del Mondo, Armageddon, end of the World, Apocalypse? Sembrerebbe a prima vista roba da