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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2010 alle ore 08:06.
I suoi progressi sono stati spettacolari. Forse senza precedenti nella storia del nucleare civile mondiale. Fino ai primi anni 80 (come mostra la tabella sottostante) la Corea del Sud dipendeva in toto dall'estero per la costruzione delle proprie centrali, ma in appena un ventennio è riuscita ad affrancarsi da ogni assistenza straniera: «L'industria coreana conta di essere completamente autosufficiente dal 2012 – dichiara con malcelato orgoglio il ministero della Conoscenza economica – senza restrizioni residue legate a licenze e brevetti esteri». Per cui «il business legato al nucleare diverrà il settore più redditizio dopo l'automobile, i semiconduttori e la cantieristica navale».
Già ora, in realtà, Seul è uno dei principali competitor internazionali del settore e sfida Francia e Usa, storici leader, come evidenzia la serie di contratti vinti nell'ultimo anno in ogni regione del mondo, dal Medio Oriente (Turchia, Emirati Arabi Uniti e Giordania) all'Argentina, dalla Romania all'Ucraina e, forse, anche al Kenia.
Una «torta» enorme
Le ambizioni in materia sono adeguate al business in palio: conquistare, entro il prossimo ventennio, il 20% del mercato mondiale per un valore di 400 miliardi di dollari, come ha rivelato il presidente Lee Myung-bak firmando il 30 dicembre scorso il mega-contratto da 20 miliardi di dollari (più altrettanti di contratti di servizio per gestire una vita operativa delle centrali dilatata a 60 anni), grazie a cui gli Emirati avranno 4 reattori Apr da 1.400 MW l'uno entro il 2017-2020. Anche se la derivazione da un modello Usa (il System 80+ della Combustion Engineering, oggi confluita nella Westinghouse) pone ancora il loro export sotto il vincolo dell'autorizzazione di Washington per i controlli anti-proliferazione.
I successi coreani in campo nucleare non nascono comunque per caso. Parafrasando una celebre definizione del Pci di Palmiro Togliatti, la Corea del Sud nel settore «è un paese che viene da lontano e va lontano». Il punto di partenza è infatti una scelta strategica in campo energetico compiuta nei primi anni 70: rispondere all'esplodere dei consumi elettrici, legati sia al boom industriale sia al forte incremento del tenore di vita individuale, dotando il paese di un'adeguata capacità produttiva. I consumi procapite, pari a 850 kW/h nel 1980, sono infatti balzati a 7.700 kW/h del 2006, mentre quelli totali passavano, nello stesso periodo, da 33 a 371 miliardi di kW/h. Logico quindi – in un territorio povero di risorse idroelettriche e privo d'idrocarburi, dunque totalmente dipendente dall'estero per l'approvvigionamento – pensare a una fonte energetica promettente come l'elettronucleare.