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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 08:02.
ROMA
Un voto per andare avanti. È la richiesta di Silvio Berlusconi in vista dell'appuntamento di domani che potrebbe segnare la ripartenza della maggioranza o sancirne la fine: il discorso programmatico in cinque punti – tra cui il delicato nodo della giustizia – del premier alla Camera (ore 11, replica alle 18 dopo il dibattito). Un documento che, però, i finiani intransigenti vogliono concordare in un vertice prima che sia sottoposto all'attenzione del Parlamento. Richiesta avanzata da Italo Bocchino che, dopo un barlume di distensione domenicale, ha fatto impennare immediatamente la temperatura tra gli alleati, tanto che in serata viene smentita dai moderati di Futuro e libertà che ne prendono le distanze e predicano il dialogo.
Ieri il premier era atteso ad Amelia alla festa della Comunità Incontro di Don Pierino Gelmini per la consegna del premio "Madonna del sorriso" al sottosegretario alla presidenza del consiglio Carlo Giovanardi. Alla fine, però, il Cavaliere si fa sentire solo al telefono: «Vedete anche voi qual è la situazione di questi giorni – esordisce Berlusconi –. Ci troviamo davanti ad ostacoli importanti, assolutamente da superare nell'interesse di tutti». Poi scioglie il dubbio su "voto sì, voto no" per il suo discorso di domani (replica al Senato il giorno successivo) e racconta di essere «alle prese con un documento che dovrà ottenere il voto della maggioranza del parlamento per poter andare avanti». Esclusa la questione di fiducia, probabile invece la votazione su un ordine del giorno.
Prima del suo intervento, però, la giornata aveva girato intorno alle dichiarazioni di Bocchino, che dentro Futuro e libertà capeggia la fazione dei falchi: «Berlusconi – dice l'ex vicecapogruppo del Pdl alla Camera ospite di "Porta a porta" – deve decidere se la risoluzione è frutto di un asse con Bossi o di un vertice della maggioranza parlamentare. Un vertice è indispensabile perché non si è mai visto che due delle tre gambe propongano un documento mentre l'altro pezzo legge, sente e vota». Quindi avverte: «Se non c'è un documento condiviso questo è un problema». Infine, in un crescendo polemico, l'accusa diretta al premier: «Attribuiamo a Berlusconi la strategia di distruzione di Fini, ma non tutto quello che scrivono Feltri e Sallusti», rispettivamente direttore editoriale e direttore responsabile del Giornale.