Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2010 alle ore 08:05.
ROMA - Negli ultimi 10 anni i lavoratori hanno perso in media complessivamente 5.453 euro. L'inflazione effettiva più alta di quella prevista ha causato una perdita cumulata del potere di acquisto di 3.384 euro, ai quali si aggiungono oltre 2mila euro di mancata restituzione del fiscal drag. Allo stesso tempo crescono le disuguaglianze: se le famiglie di operai e impiegati ci hanno rimesso in media 3.118 euro, professionisti e imprenditori hanno guadagnato 5.940 euro.
Le conclusioni dello studio dell'Ires fanno dire al leader della Cgil, Guglielmo Epifani, che «il nostro sistema fiscale sta uccidendo la produttività»: abbiamo la pressione fiscale sul lavoro più alta d'Europa (44% contro il 34,4% della media della Ue a 27). Insieme ai lavoratori dipendenti sono penalizzate le imprese che investono, da un sistema che "premia" le rendite finanziarie e i grandi patrimoni. Per la Cgil serve un intervento «urgente» sul fisco in chiave redistributiva, considerando che dal 1995 al 2008 i profitti netti sono cresciuti del 75,4%, e che dal '90 a oggi si registra una crescita delle rendite superiore all'87%, mentre i salari netti sono al di sotto del valore reale del 2000. Mentre l'ipotesi di spostare la tassazione dalle persone fisiche alle cose è bocciata da Epifani «il lavoratore avrebbe meno tasse in busta paga, ma pagherebbe di più quando va a fare la spesa, tutt'al più si potrebbe pensare a un'operazione selettiva sull'Iva».
Lo studio dell'Ires prende in considerazione anche il 2010, anno in cui ha avuto piena applicazione il nuovo modello contrattuale (non firmato dalla Cgil). Rispetto all'inflazione dell'1,7% le retribuzioni contrattuali hanno tenuto, sono cresciute del 2,1% (le retribuzioni nette del 1,9%) e si è evidenziato un aumento della pressione fiscale dello 0,2%. «La tenuta è dovuta al fatto che nell'83% dei casi abbiamo siglato i contratti unitariamente – sostiene il presidente dell'Ires, Agostino Megale – ottenendo più dell'inflazione e senza deroghe, al contrario dell'unica intesa separata».
La dinamica salariale è legata anche all'andamento della produttività reale delle imprese italiane che dal 1995 è cresciuta solo del 1,8%, mentre quella delle imprese di Francia, Regno Unito e Germania è cresciuta dai 25 e i 32 punti. Secondo l'Ires la produttività di questi paesi, in ogni classe dimensionale d'impresa, è nettamente più alta di quella italiana, ad eccezione delle medie imprese – tra queste siamo i primi escludendo il Regno Unito – tra i paesi industrializzati europei. Se dai raffronti di produttività si escludono le piccole imprese, invece, i differenziali con gli altri paesi si riducono di molto. Oltre alla forte presenza della piccola dimensione d'impresa meno in grado di competere sui mercati globali, a frenare la crescita secondo l'Ires sono anche i ritardi negli investimenti in ricerca e sviluppo: l'Italia in Europa è fanalino di coda con l'1,18% investito, contro il 2,60% della Germania.