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Ecco la classifica della vecchia e nuova sinistra americana

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 18:12.

La rivista della sinistra americana The Nation ha stilato, con la penna di Peter Dreier, la classifica dei 50 (sulla carta) progressisti più influenti della storia degli Stati Uniti, da Eugene Debs, primo, a Michael Moore (50°), cinquantesimo. E sul sito internet di The Nation è già partito il dibattito perché certamente non tutti sono soddisfatti e il preferito di molti non c'è in lista. Per esempio, che fine ha fatto Bob Dylan?

Scrive Dreier, «le idee radicali di una generazione sono spesso il senso comune della generazione successiva». E c'è del vero se si pensa a temi come il suffragio universale o all'ambiente. Al primo posto c'è appunto Eugene Debs, leader del movimento dei lavoratori, che nel corso della sua vita (1855-1926) si è candidato per cinque volte alla presidenza come socialista e grazie alla sua oratoria è riuscito a dare vita al primo grande sindacato americano e all'imponente sciopero dei trasporti del 1894. Al secondo posto c'è Jane Addams, premio Nobel per la pace e attivista per il suffragio universale aperto alle donne. Al terzo posto arriva invece il primo di una serie di giudici della Corte suprema, Louis Brandeis, segno di quanto peso abbia e abbia avuto in America la suprema autorità della Giustizia anche rispetto alla presidenza e al Congresso. Al 24° posto infatti c'è anche Earl Warren, che dal 1953 al 1969 spinse la Corte suprema in una direzione nettamente liberal.

Eleanor Roosevelt è (soltanto) quattordicesima e Dreier, come moltissimi americani, le riconosce la capacità di aver saputo sfruttare il suo ruolo di first lady per invocare e favorire riforme. Al 19° posto c'è A. Philip Randolph (1889-1979), il fondatore del primo sindacato afro-americano. Walter Reuther è 20° e contribuì a far nascere e a far diventare una potenza dell'economia statunitense il sindacato, di cui tanto si parla oggi anche grazie a Sergio Marchionne, dei lavoratori dell'industria automobilistica, United Auto Workers. Il cantautore folk Woody Guthrie è 23°, la sua "This Land Is Your Land" è considerata una specie di inno del mondo radical americano. Guthrie è il padre artistico di tipi tosti come Bob Dylan, Joan Baez e Bruce Springsteen. C'è spazio, al 27° gradino, anche per un giocatore di Baseball, Jackie Robinson, il primo afro-americano a giocare nella major league.

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Tags Correlati: Barack Obama | Bruce Springsteen | Corte di Cassazione | Earl Warren | Elezioni | Joan Baez | Peter Dreier | Sean Penn | Stati Uniti d'America | The Nation | United Auto Workers | Walter Reuther

 

Soltanto 31° è il reverendo Marting Luther King, mentre Malcom X 37°. Harvey Milk, impersonato al cinema da uno strepitoso Sean Penn, si piazza al 41° posto per le sue battaglie a Castro, San Francisco, a favore dei diritti degli omosessuali. Un gradino sopra Ralph Nader, prima avvocato contro le grandi corporation e poi candidato presidenziale del movimento verde. Il candidato presidenziale dei democratici, il reverendo Jesse Jackson, è invece 45°, un posto sopra il campione di pugilato Mohammed Ali.

Ma come scrive lo stesso Dreier questo è solo l'inizio di un dibattito, non certo una classifica definitiva. Anche perché il mondo dei progressisti americani è in forte movimento, prima e dopo l'elezione del primo presidente afro-americano della storia, Barack Obama. I nuovi pensatori di riferimento della sinistra radical stanno diventando Arianna Huffington, sul fronte del giornalismo militante, e il premio Nobel Paul Krugman, sul fronte dell'analisi e della proposta economica. Magari l'idea di immaginare una catalogazione definitiva può essere anche il frutto del riconoscimento di una fine, di una fine per conseguita ragione sociale del movimento progressista, proprio con l'elezione di Obama alla Casa Bianca. D'altra parte, però, la crisi economico-finanziaria ha riportato all'attenzione di tutti il rischio povertà, anche per la classe media statunitense, quella che comprende anche gli operai, e su questo tema battono proprio i nuovi punti di riferimento radical come Arianna Huffington, che ha titolato il suo ultimo libro "Third World America", per immaginare (provocatoriamente) un'America da terzo mondo, cioè senza classe media.

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