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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2010 alle ore 08:03.
Massoud Barzani è in ritardo. Lunghe telefonate tra Washington e Baghdad trattengono il presidente della regione curda dell'Iraq nella sua stanza al St.Regis di Roma. I suoi assistenti - gentili, eleganti, impomatati - si scusano in ogni modo possibile. Il nipote Saywan Barzani, ambasciatore di Baghdad a Roma, consulta l'iPhone, discute di geopolitica senza esporsi troppo, soprattutto sull'Iran. Nell'attesa, scherzando, il giovane Barzani dice: «Io lavoro per il governo centrale di Baghdad, tutti gli altri qui intorno sono indipendentisti del Nord, come quelli della Lega». Un ex ministro della difesa iracheno parla fitto al telefono. L'ex parlamentare di Forza Italia Diego Rivolta mostra grande familiarità con la delegazione irachena. Il deputato Gianni Vernetti, già sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi, controlla gli ultimi dettagli del convegno su sicurezza, sviluppo, democrazia.
L'atmosfera è rilassata. Non c'è tensione intorno a uno dei padri del nuovo Iraq in visita a Roma. Massoud Barzani, 64 anni, arriva accompagnato da due guardie del corpo. Parla inglese, ma preferisce esprimersi in curdo. Rezan Kader, la rappresentante del governo curdo a Roma, traduce in italiano.
Barzani spiega che la sua parte di Iraq, quella curda, è una storia di successo. Le città del Kurdistan iracheno sono sicure, gli investimenti esteri fioriscono, c'è libertà: «Per noi la liberazione dal regime di Saddam è stata una cosa enormemente positiva. Nel resto d'Iraq, purtroppo la situazione è diversa. Le cose vanno male sia per la sicurezza, sia per l'economia. Non sono pessimista, ma non sarà facile. In nessun paese al mondo ci può essere rilancio senza sicurezza».
Barzani racconta di aver combattuto contro la dittatura, di aver lottato tutta la vita per affrancare il suo popolo dalla sottomissione. Per lui gli americani sono liberatori: «Hanno liberato l'Iraq da un dittatore, così come hanno liberato l'Italia e l'Europa dal nazifascismo». La decisione di invadere l'Iraq, dice Barzani, «è stata saggia e giusta». Gli americani semmai «hanno sbagliato dopo». Il grande errore, secondo il leader iracheno, è stato fatto all'Onu, con la risoluzione 1483 del 2003, quella che ha trasformato la liberazione in occupazione. Barzani nega che il grande errore degli americani sia stato smantellare l'esercito iracheno: «L'esercito non esisteva più, si era sciolto da solo. Gli americani non dovevano dire “smantelliamo l'esercito”, avrebbero dovuto dire “rinnoviamo l'esercito”. Se uno è morto, non puoi dire che lo farai morire. È già morto».